IRI e Mindshare mettono in guardia dalle scelte solo tattiche

di Massimo Gianvito

Il sistema economico italiano sembra caratterizzato da una certa volatilità, con analisi di scenario che si contraddicono nel giro di poche ore. Una volatilità che spesso spinge le aziende a prendere delle decisioni di tipo tattico perdendo così di vista la visione strategica. Scelte che possono avere delle ricadute anche sul valore e sulla percezione della marca. Quali sono allora gli strumenti per rilanciare il brand?

Dal 2007 al 2015 gli investimenti pubblicitari sono scesi da circa 10.000 milioni a 7.500 milioni di euro. “Quello che è accaduto -spiega Roberto Binaghi Chairman&CEO di Mindshare- è sicuramente qualcosa di importante. La crisi c’è stata per tutti, però noi italiani siamo scivolati verso il basso con una delle spese pubblicitarie pro capite più basse”.

Secondo Mindshare, nel periodo considerato il mercato pubblicitario è calato del 29%, mentre i consumi sono calati del 5,6%. Il costo della materia prima, cioè della pubblicità, si è abbassato a causa della minore domanda e si è modificato il mix di strumenti pubblicitari con l’avanzata del digitale che è cresciuto di circa il 25%. La combinazione di queste cause ha portato a una riduzione del prezzo della pubblicità del 12,6%. “Se il mercato fosse calato in proporzione all’effetto combinato del prezzo della materia prima e del rallentamento dei consumi, avremmo un calo a circa 8.500 milioni con un -18% rispetto al -29% che è stato registrato in realtà. Potremmo parlare, cioè, di un calo fisiologico prevedibile, mentre il trend del mercato italiano è stato perfino peggiore al trend fisiologico ipotizzabile: sono usciti dal mercato italiano oltre 1.000 milioni in più. Le spese in comunicazione sono state forse utilizzate come una sorta di fondo di riserva a cui attingere per recuperare risorse da allocare altrove privilegiando in non pochi casi scelte di breve periodo”.

Gli unici due settori che sono andati in controtendenza sono il farmaceutico e la distribuzione. La crescita della distribuzione può essere spaccata in tre comparti: la grande distribuzione, con +13% in termini di investimenti pubblicitari, la distribuzione elettronica, che è calata, e l’eCommerce che è cresciuto di soli 50 milioni.

 

Negli anni della crisi cosa è successo nel punto di vendita?

“Nel biennio 2013-14 -afferma Livio Martucci, Dir. Global Analytics&Consulting di IRI- sono stati persi due punti percentuali a volume, forse poco per altri settori ma nel largo consumo rappresentano un numero significativo”. Spostando l’analisi sulle aziende del largo consumo notiamo che le Top 25 assorbono circa un terzo delle spese delle famiglie italiane, con un trend in leggero calo e una pressione promozionale del 33%. Gli altri produttori hanno una quota di mercato superiore al 47%, un trend in crescita e una pressione promozionale del 27%. Infine, la marca del distributore si assesta al 17% di market share, un trend in leggero calo e una pressione promozionale del oltre il 20%.

“La leva promozionale -sottolinea Martucci- non riesce più a generare crescita e in alcuni casi neppure un mantenimento. Lo strumento promozionale perde efficacia perfino in termini di vendite incrementali legate alle stesse promozioni. Così promozioni e sconti hanno cambiato il processo di acquisto nel punto di vendita: anni di focalizzazione sul prezzo hanno finito per indebolire la marca. Prima della crisi, infatti, la marca valeva di più come elemento capace di influenzare il processo di acquisto, oggi questo valore è sceso a vantaggio dei fattori economici quali promozione o prezzo”.

 

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