L’export in Usa? Per Boston un investimento sicuro e stabile

di Raffaella Pozzetti

Il 4° Forum Food & Made in Italy, organizzato a Milano dal Gruppo Sole 24 Ore, ha rinnovato il caldo invito alle aziende dell'alimentare italiano ad esportare negli States. A farlo, Lamberto Biscarini, senior partner & managing director The Boston Consulting Group: “Perché puntare sull'America? -spiega Biscarini- Per le dimensioni del business, le opportunità di crescita, la stabilità del mercato, tutti aspetti che assicurano continuità ad investitori ed esportatori”.

slide Bcg 1L'Italia è il secondo attore per export dopo la Francia fra cibo e bevande, e i nostri prodotti hanno un perfetto fit con 3 dei principali trend di consumo Usa:

  1. la polarizzazione e la premiumizzazione del mercato: un fenomeno di trading up che continua da diversi anni.
  2. la crescita sostenuta del segmento salute e wellbeing: dove il mercato dei prodotti dell'area del biologico e del benessere vale già oggi 150 miliardi di consumi (cifra pari a tutto il grocery italiano).
  3. la food experience degli americani si sta trasformando in esperienza di piacere e socializzazione. Accanto al classico fast food si stanno diffondendo nuove modalità di consumo, come per esempio il fast casual, con un'offerta alimentare di qualità ma a prezzi accessibili, e che ha spesso connotazioni etniche (messicana ma anche italiana).

Cosa interessante: il consumatore americano acquista prodotti italiani (o Italian Sounding) in maniera non occasionale, ma ricorrente. Nota dolente: il 50% circa dei rispondenti all'indagine Bcg non sa la differenza fra Made in Italy o Italian Sounding ed è più portato a comprare prodotti Italian Sounding perché sono più diffusi e a prezzi più concorrenziali. Osserva Biscarini:“I produttori italiani che esportano affindandosi ad intermediari, senza avere una presenza commerciale sul paese, rischiano di perdere il controllo del posizionamento prezzo”. E non solo di quello: molti distributori Usa lamentano la mancanza di continuità nella fornitura di gamme italiane e la stabilità del rapporto commerciale e logistico.

La soluzione?

  1. Rendere più competitiva la nostra filiera agricola, che è di qualità ma molto parcellizzata, cosa che determina degli svantaggi strutturali di costi e di scala. Segnala Biscarini:“Servirebbe creare delle strutture di coordinamento, di indirizzo strategico, facendo in modo per esempio che la produzione agricola si orienti in maniera più diretta sui segmenti di prodotti che hanno un potenziale rispetto a quelli che non lo hanno”
  2. Assicurare una distribuzione più capillare del prodotto Made in Italy, affinché le nostre merci arrivino costantemente e nei rispetto delle tempistiche ad un trade che è estremamente più esigente del nostro.

Tutte cose che le Pmi (ovvero il cuore del nostro sistema produttivo) non possono fare da sole, ma sviluppando strategie aggregative con altre Pmi o partnership con aziendi più grandi già inserite nel mercato Usa. Aprendo, possibilmente, una struttura commerciale in loco, saltando così gli intermediari.

 

 

 

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