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Intervista – Liberalizzazioni sì, ma come disarmo dei privilegi. Il rialzo dell'Iva deprimerà ancora di più i consumi. Unirsi per essere più forti (da MARKUP 205)

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  Chi è Carlo Sangalli
Presidente di Confcommercio dal 2006, è stato rieletto nel 2010 e sarà in carica fino al 2015.
Nato a Porlezza (Co), laureato in giurisprudenza, nel 1995 è Presidente dell'Unione del Commercio del Turismo dei Servizi e delle Professioni della Provincia di Milano, la maggiore delle organizzazioni territoriali aderenti alla Confcommercio. Nel 1996, diventa Presidente dell'Unione Regionale Lombarda del Commercio, del Turismo e dei Servizi. Ed è nel 1997 che viene eletto Presidente della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano.
 
     

Tempo di bilanci, ma anche di rilanci. Con Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, abbiamo provato a delineare i possibili strumenti per risollevare un settore che più di altri rispecchia paure e difficoltà degli italiani.

Come prevedete andranno i consumi nel 2012?
La sintesi numerica è +0,2%, cioè pressoché nulla in termini di variazione dei consumi pro capite. La questione non è solo il 2012, ma tutto l'arco degli anni 2000, con redditi fermi o decrescenti e famiglie in progressiva difficoltà. La "grande crisi" e i suoi ancora inconclusi sviluppi hanno ovviamente drammaticamente acuito i problemi della distribuzione commerciale, che si confronta con una domanda ferma o in riduzione. Oggi, si deve, dunque, evitare di imboccare la strada di una nuova fase recessiva.

Quali sono i suggerimenti di Confcommercio al nuovo governo Monti?
Nessuno nega la necessità di avere una disciplina di bilancio pubblico rigorosa, ma è arrivato il momento di riforme che stimolino produttività, occupazione e crescita. Prime fra tutte, le semplificazioni utili ad abbattere la tassa della burocrazia. E, sul terreno fiscale, l'avanzamento della spending review e il recupero di evasione dovrebbero condurre a una progressiva riduzione delle aliquote legali di prelievo fiscale a favore dei contribuenti in regola. Quanto prima, andrebbero, poi, rese strutturali sia la detassazione del salario di produttività, sia la decontribuzione per i contratti di apprendistato. Siamo comunque pronti all'approfondimento di tutte le ipotesi in campo: di quelle finalizzate al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, così come di quelle destinate ad accelerare la crescita. Confermiamo, però, una fondamentale avvertenza. Non ci sembra che operazioni di scambio simmetrico tra minore pressione fiscale su lavoro ed imprese e maggiore imposizione sui consumi giovino alla crescita complessiva del Paese.

Qual è la vostra posizione rispetto alle liberalizzazioni.
Ci piace ricordare quanto annotato, tempo fa, dal Presidente Monti: occorrono liberalizzazioni che realizzino una sorta di disarmo bilanciato dei privilegi di tutte le corporazioni. Lo ricordiamo per tre motivi: per segnalare quanto è stato fatto, a partire dalla riforma del '98, nel processo di liberalizzazione delle reti commerciali; per sollecitare liberalizzazioni in settori come i servizi pubblici locali, le professioni, il trasporto ferroviario (temi, peraltro sempre segnalati dall'Antitrust); per rivendicare la posizione di Confcommercio, che ha sempre sostenuto la libertà d'impresa. Ciò significa che le organizzazioni che rappresentano gli interessi imprenditoriali debbono potere attivamente contribuire alla definizione di quelle regole che incidono sull'organizzazione delle imprese stesse e che non tutto può essere esclusivamente affidato ai mutevoli orientamenti della politica. Insomma, in tema di aperture, di orari, c'è la disponibilità a discutere senza nessun pregiudizio. Perché da sempre Confcommercio crede nel dialogo e nella concertazione.
Di vere liberalizzazioni c'è bisogno. Pensi che oltre alla questione dei redditi stagnanti la distribuzione commerciale soffre perché dai bilanci familiari una quota sempre maggiore di risorse viene drenata dalle cosiddette spese incomprimibili - come affitti, bollette, utenze, servizi bancari e assicurativi - che vengono offerte su mercati poco concorrenziali. L'indice di prezzo di queste spese fisse è cresciuto, negli ultimi quarant'anni, a un tasso quasi doppio rispetto a quello dei consumi liberamente offerti presso i negozi: questa è la triste storia che lega liberalizzazioni, benessere dei cittadini e difficoltà della distribuzione commerciale.

Come descriverebbe a oggi la situazione dei piccoli commercianti e quali le vie per il rinnovamento?
L'orografia del nostro territorio, gli assetti demografici e le stesse ragioni della concorrenza devono contemplare necessariamente quello che è stato definito più volte il modello italiano di pluralismo distributivo. Ma, negli ultimi tre anni, per effetto della riduzione dei consumi e di una forte concorrenza, molte imprese hanno chiuso i battenti, ed è cresciuto il processo di concentrazione in alcuni settori non alimentari, come i negozi di mobili, di ferramenta e di abbigliamento.
La nostra posizione è chiara: non si tratta di arretrare rispetto alle ragioni della concorrenza, ma di lavorare per una maggiore produttività di tutto il settore. Contribuendo, così, al ritorno alla crescita di tutto il Paese. È questa, infatti, l'esigenza fondamentale dell'Italia. Ed è, ovviamente, anche la condizione fondamentale per fare fronte alle difficoltà di tutto il mondo del commercio: delle piccole e medie imprese come delle grandi imprese.

Si parla di aggregazioni: che cosa consiglia Confcommercio ai suoi associati? Vedete, nella partnership tra piccolo e grande un'opportunità per i piccoli?
Pensiamo che sia tempo, anche attraverso un progetto strategico nazionale di riferimento, di pigiare con forza, nel commercio e nell'intera area dei servizi, il pedale dell'innovazione, che è uno straordinario propellente di produttività. Innovazione tecnologica e banda larga, certo. Ma anche innovazione organizzativa. Favorendo aggregazioni di rete tra le piccole e medie imprese e partnership tra "piccoli" e "grandi". Si tratta di mettere a sistema diffuse esperienze di centri commerciali naturali e di distretti urbani del commercio, di lavorare sulla relazione vitale tra processi di riqualificazione urbana e ruolo delle reti commerciali. Affrontando, tra l'altro, i nodi strutturali della logistica urbana e il tema delle locazioni commerciali.
Insomma, tre sono le parole chiave: aggregazione, innovazione e crescita, anche dimensionale, perché molte imprese non hanno da sole la capacità e la possibilità di investire, di fare ricerca e innovazione, di ampliare gli spazi di mercato. Ed è, inoltre, di grande importanza lo sviluppo di reti tra territori perché le sinergie tra le imprese passano anche da una fattiva collaborazione tra i sistemi produttivi di aree transregionali.

L'aumento dell'Iva, come è stata interpretata dal commercio?
Avrebbe dovuto essere evidente a tutti che l'innalzamento delle aliquote Iva avrebbe prodotto ulteriore depressione dei consumi, un effetto inflazionistico e non avrebbe favorito il recupero di evasione Iva. L'abbiamo detto tante volte, con determinazione e a tutti i nostri interlocutori istituzionali. Purtroppo avevamo ragione e ora il balzo inflazionistico di ottobre viene spiegato come meccanica conseguenza dell'incremento dell'Iva.Non penso che il sistema imprese-famiglie possa sopportare ulteriori e consistenti incrementi delle imposte sui consumi.

Il turismo: che potenzialità potrebbe avere per il retail?
Il turismo rappresenta una grande risorsa per il Paese, soprattutto per il Mezzogiorno perché possediamo un patrimonio di inestimabile valore paesaggistico, storico, artistico e culturale che rappresenta un forte attrattore per tutto il territorio in termini di turismo , di enogastronomia, di commercio. L'integrazione dei servizi rappresenta, dunque, un'opportunità da cogliere per rafforzare la nostra offerta turistica e distinguerla rispetto a quella estera. Penso, per esempio, all'importanza del commercio e al richiamo che le strade dello shopping possono esercitare sui turisti, così come alla ricchezza e alla varietà della nostra tradizione enogastronomica. L'obiettivo di raddoppiare il contributo del turismo al Pil nei prossimi anni non è, quindi, irrealistico ma semplicemente ambizioso.

Allegati

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