Alimentare: il format del futuro è “fresco”

Cristina Lazzati, direttore responsabile di Mark Up e Gdoweek

di Cristina Lazzati

Fresh format, gli anglosassoni li chiamano ormai così. Sono quei formati che puntano tutto sui freschi, dove per freschi intendiamo sì, ortofrutta, carne, salumi e formaggi, ma anche piatti pronti da asporto, o da consumarsi in loco, panetteria e panini pronti, pescheria e sushi bar. Una novità? Per l’Italia, patria dei mercati, con aperture fantastiche sull’ortofrutta non dovrebbe esserlo; in realtà, nessuno (e neppure i cugini d’oltralpe) ha mai azzardato un format con metrature da ipermercato dedicato ai freschi e freschissimi.
In Francia, in Uk, ma anche in Giappone, il market di alta gamma è appannaggio dei Department Store: pensiamo al londinese Harrods o a la Grande Épicerie, rinnovata recentemente a Le Bon Marché Rive Gauche, a Parigi. Vale anche per Rinascente settimo piano o Eat’s’ catena luxury, compartecipata dal Gruppo Coin. Storicamente, abbiamo in casa i Peck e gli Abbascià, un piacere per gli occhi e per il gusto (un po’ meno per il portafoglio). Invece, il fresh format non ha necessariamente la caratteristica di essere posizionato nel lusso e in più vive di luce propria. Due esempi di questo format sono nati negli Stati Uniti: Whole Foods Market e Trader Joe’s. Per una clientela media-medio alta il primo, per chi è più attento al prezzo, il secondo (non dimentichiamo che è di proprietà della famiglia Albrecht, Aldi). Attenzione, il fresh non è per tutti -lo sa molto bene Tesco che, proprio negli Stati Uniti, ha fatto un bagno di sangue con Fresh & Easy-, parliamo di un format che deve avere solidissime basi etico-morali e altrettanto solide doti di buying e proposition. Particolare non trascurabile per chi vive d’Italia e in Italia: la dieta mediterranea è la regina di questo format, e molti prodotti italiani (o italian sounding) arricchiscono l’offerta dei fresh di tutto il mondo. E noi che abbiamo il made in Italy a Kmquasizero? Che cosa stiamo facendo? Qualche segnale c’è. Il recente Carrefour Market Gourmet a Milano, Coop.fi a Novoli che proprio sul mercato ha sviluppato il concept firmato da Paolo Lucchetta, il successo imperituro di Esselunga che ha inventato il superstore proprio dando spazio ai freschi e tagliando il non food. Citiamo per dovere Eataly, l’unico vero fresh format italiano. Casi di successo e di innovazione, ma non basta: la grande distribuzione continua a nicchiare. Comprensibili i motivi: i freschi e i freschissimi sono più pericolosi del grocery, banalmente vivono meno nello scaffale (la ristorazione in loco aiuta), ma l’alternativa non è forse di gran lunga più pericolosa? Rimanere fermi è letale. Anche perché altri si stanno muovendo, pensiamo a Bologna e a Firenze con il Mercato di Mezzo. Sogegross ha inaugurato il 29 ottobre, a Grassina, un nuovo punto di vendita che proprio nei reparti freschi e freschissimi, cui dedica il 50% degli spazi, ha il suo punto di forza. Un rischio e un’opportunità: il “fresh” sarà il format che crescerà di più nel prossimo futuro, ma solo nelle mani di chi lo saprà “trattare bene”

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