La sede è al numero 31 di Piazza Duomo a Milano: da qui Carlo Capasa guida da oltre un anno una delle realtà più importanti del settore, quella Camera Nazionale della Moda (CNMI), a cui si deve l’organizzazione di sfilate, mostre ed eventi tanto attesi da buyer, pubblico, creativi, giornalisti e operatori internazionali. Capasa -leccese con studi classici, ex-Ad di Costume National, maison fondata con il fratello stilista Ennio 30 anni fa e ora di proprietà del fondo giapponese Sedquedge- sta operando per il suo rilancio con l’estro e la praticità che lo distinguono. Quattro i pilastri della sua strategia: rapporti istituzionali, sostegno a giovani creativi e start up, digitalizzazione e sostenibilità (ambientale e sociale). “In questo primo anno, per avviare le molte iniziative a cui ho dato impulso, sono state fondamentali alcune figure a cui va il mio ringraziamento: dai presidenti onorari di CNMI, Mario Boselli e Beppe Modenese, al Consiglio direttivo e al Comitato strategico, formato dagli imprenditori più illuminati ed esperti di questo mondo meraviglioso che è la moda”.
C’è chi dice che il sistema moda italiano sia in crisi. Cosa ne pensa?
Che non sia vero. Per dimostrarlo ecco alcuni numeri sostenuti dai principali opinion leader e media internazionali (dal NY Times a BOF- The Business of Fashion): dal 2013 al 2016 il settore moda è passato da 74 a 83,6 milioni di euro di fatturato globale. Nell’ultimo anno la crescita dell’1,4% è doppia di quella del Pil nostrano. Se questo non è “nuovo Rinascimento” ...
Come presidente della Camera della Moda quali cambiamenti auspica per rafforzare la presenza delle imprese italiane nel mondo?
Abbiamo già un primato attivo e riconosciuto da lungo tempo, nonostante le crisi globali, l’instabilità economica e le guerre diffuse. Le imprese italiane parte del “sistema integrato della moda italiana” (abbigliamento, occhialeria, gioielleria e cosmesi) continuano a dimostrare la loro creatività e forza. Il settore, ricordiamolo, esporta oltre l’80% della sua produzione e l’Italia è il primo Paese esportatore mondiale di tessile, abbigliamento e accessori di lusso.
Quali i Paesi su cui puntare e perché?
Quelli in cui negli ultimi anni il made in Italy di qualità si è più affermato, in termini di mercato e di spinta creativa: vuol dire Usa e Francia, in primis, per passare a Germania, Svizzera, tutto il Far East (da Hong Kong al Giappone) e, infine, Regno Unito e Medioriente.
Quali le politiche di CNMI verso giovani talenti e nuovi brand?
Ritengo sia fondamentale migliorare sempre più il rapporto tra scuole e imprese e favorire l’inserimento dei nuovi talenti nelle aziende con internship mirati e con iniziative come Milano Moda Graduate (lo scorso anno inserita nel programma di Expo in Città) che ha messo in luce le creazioni dei giovani allievi delle nostre migliori 14 scuole di moda sul territorio nazionale. La Camera della Moda è molto impegnata su questi fronti. A sostegno dei marchi emergenti, inoltre, abbiamo dato vita al Fashion Hub Market, progettato con Unicredit, che ospita una selezione interessante di giovani brand italiani e stranieri. Abbiamo avuto 6mila visitatori, tra cui molti buyer e giornalisti in ternazionali. Queste nuove piattaforme sono utili non solo per dare visibilità ai giovani creativi, ma anche per favorire lo scambio di esperienze. Il nuovo programma di accelerazione e supporto continuativo, Fashion Lab 2016, ha inserito 19 marchi emergenti nei calendari delle settimane milanesi della moda ed è sfociato in una mostra di grande successo nell’Annex la Rinascente di Milano Duomo. L’obiettivo; passare dal B2B al B2C, dall’incontro con i compratori al confronto con il punto di vendita. Il prossimo 13 dicembre organizziamo un road-show, dove incontreremo un gruppo d’investitori.
Valorizzare le competenze artigianali: come si declina nel sistema moda italiano?
Suzy Menkes, firma storica di Vogue Italia, sostiene che “L’Italia è l’unico Paese al mondo ad aver conservato sia la produzione artigianale sia il design. In altri termini, è ancora capace di produrre idee e realizzare capi”. La Camera della Moda, con il supporto del Ministero dello sviluppo economico e di ICE, ha organizzato al Mudec di Milano una bellissima mostra che visualizza questi valori: Crafting the future, a cura di Franca Sozzani. Un’esposizione dove artigianalità, heritage, innovazione e sostenibilità si declinano nelle sfaccettature più contemporanee, per far capire l’evoluzione del sistema moda. La narrazione è uno strumento cruciale per capire i fenomeni economici e industriali.
Alta moda e online: quale rapporto?
È senza dubbio il futuro. Serve, però, uno sviluppo organico tra il negozio fisico e quello digitale, mettendo prima di tutto in rete i vari soggetti dei distretti produttivi, cioè tutti gli attori della filiera, per diffondere capillarmente la cultura della comunicazione digitale, nel nostro Paese ancora arretrata. Nel settore moda in Italia siamo ancora al 5% di uso dell’eCommerce: in Germania il 25% delle imprese lo applica già in modo operativo. Ho molta fiducia nell’azione 4.0 auspicata dal viceministro Carlo Calenda per potenziare la moda italiana.
Sembra che l’alta moda stia influenzando il mass market: quali le conseguenze di questa contaminazione?
Il tratto distintivo del pronto-moda dei tardi anni ’60 è stata proprio la capacità di realizzare per il mercato lo stile più vasto creato dalle griffe dell’alta moda. Oggi ci sono catene straniere low-cost che applicano questo approccio in tempi ridottissimi e senza abbinare all’estetica la giusta componente etica. Manca la gestione di sistemi di controllo efficaci e dinamici sulla filiera produttiva.
Con suo fratello Ennio ha creato 30 anni fa Costume National, marchio basato sul concetto di “street couture”, eleganza da indossare tutti i giorni. Oggi, cosa farebbe d’innovativo?
La stessa cosa, aggiungendo al cocktail l’ingrediente dei social media. Innovazione e ricerca significano essere là dove sta il pubblico. Ma occorrono anche i servizi e gli strumenti più adatti, e questa è l’epoca del web.