Arte in dialogo tra etica ed estetica

Pensieri liberi di Carolyn Christov-Bakargiev, tra le più influenti e innovative direttrici di museo in un'era di crisi di valori e finanziaria (da Mark Up n. 255)

Nata nel ’57 a Ridgewood New Jersey (Usa) da madre italiana e padre bulgaro, Carolyn Christov-Bakargiev è da un anno la direttrice del Castello di Rivoli e della GAM (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino), doppio incarico che la vede impegnata a configurare un nuovo polo dell’arte internazionale. Bakargiev è reduce da numerosi ruoli importanti e di successo, come quelli di  curatrice  della  Biennale  di  Istanbul  (2015), di direttrice artistica di dOCUMENTA (13) a Kassel, Kabul, Alessandria d’Egitto, Il Cairo e Banff (Canada) nel  2012,  curatrice  della  16a  Biennale  di Sydney (2006-2008) e prima ancora del MoMA PS1 di New York. A Rivoli, è già stata capo-curatrice fra il 2002 e il 2008, oltre ad aver ricoperto incarichi come docente, ricercatrice e autrice nelle molte pieghe dell’arte. Lacaniana e femminista, Bakargiev ama spiazzare i suoi interlocutori con citazioni filosofiche e geopolitiche a 360 gradi, grazie alle molte incursioni e competenze stratificate negli ambiti della cultura, dalla biologia all’astrofisica, alle neuroscienze. Tutto questo la rende una delle donne più interessanti e autorevoli del panorama artistico mondiale.

Da  oltre  vent’anni  dirige  importanti istituzioni culturali. Qual è il museo o la manifestazione che le ha dato maggiori soddisfazioni e perché?
La  sfida  più  grande  è  stata  lavorare  a  dOCUMENTA (13), occasione che mi si  è  presentata  dopo  tre  anni  di  duro  impegno  per  superare  il  concorso.  Una prova che mi ha messo a confronto con temi cruciali quali il ruolo dell’arte nella società, il senso di una rinascita attraverso la cultura e l’arte, ma anche con la definizione di una personale metodologia d’intervento. In quegli anni stavano  crescendo  per  influenza  e  importanza molte fiere del settore, con ovvie conseguenze sul mercato, soprattutto a scapito di mostre periodiche curatoriali come le Biennali d’arte. Da Venezia a San Paolo, da Sydney a Istanbul, le Biennali, che tanto avevano alimentato il flusso d’idee e la nascita di nuovi fermenti, erano entrate in crisi. Intanto avanzava sempre più internet. Penso che  la  fiera  in  sé  sia  una  sorta  di  modello incarnato d’internet: la molteplicità dei punti di vista, l’esposizione massiva,  l’assenza  di  una  figura  curatoriale, di una lettura mirata. Nel 2012, anno di dOCUMENTA (13), erano esplose le primavere arabe, il mondo si stava affacciando a una nuova fase di sommovimenti politici e culturali, di crisi e di depressione economica. Ho pensato di fare breccia portando le installazioni  e  i  siti  dell’evento  anche  fuori  Kassel, aprendo all’Afghanistan e all’Egitto. In questo modo, la visione si è ampliata anche a livello emotivo. Una grande esperienza.

Che cosa può fare l’arte per la società civile?
L’esperienza artistica serve. E molto. È come  una  lente  che  rimanda  una  moltitudine di punti di vista e stimola pensieri  e  flussi  di  energia.  Mi  piace  dire  che è un aiuto per affrontare il quotidiano. Uno dei miei predecessori è Ida Gianelli:  sono  felice  di  continuare  nel  suo  tracciato. In comune abbiamo anche la prima passione per l’Arte Povera. Un esempio di cosa può fare l’arte per la società? Si è appena inaugurata al Castello di Rivoli (fino al 5 febbraio 2017) la mostra  di  Wael  Shawky,  artista  egiziano che rappresenta le Crociate dal punto di vista del mondo arabo. Un percorso che si snoda attraverso video-installazioni e scenografie, dove le marionette sostituiscono le figure umane e permettono di mantenere un tono magico, apparentemente  discordante  con  l’argomento. Shawky si è servito di antichi burattini del Settecento dalla Collezione Lupi di Torino e di marionette in ceramica: creano un efficace senso di straniamento che aiuta a mantenere le distanze dal trauma e avvicina la pratica artistica a  una  forma  di  meditazione,  simile  allo studio o alla preghiera. Da una parte, sembra  che  l’arte  non  faccia  molto  per  il mondo reale; dall’altra, essendo composta di persone particolarmente sensibili, aiuta a decifrare il presente e a osservarlo da punti di vista inaspettati. Dicono che quasi tutte le persone che lavorano nell’arte abbiano subito un trauma nelle loro vite e che questo fattore porti a una maggiore flessibilità, a una sorta di riorganizzazione neuronale. Una volta gli artisti erano, forse anche per queste ragioni, al servizio dei potenti e dei papi; oggi molti sono chiamati a formare  le  classi  dirigenti.  Potrei  aggiungere  che l’arte, probabilmente, ha una capacità di preveggenza provocata da una forte capacità di empatia. Da qui, il suo ruolo d’ispirazione e guida planetaria.

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