Bigger is better

Le performance del Paese dipendono in buona parte dalla capacità delle imprese italiane di puntare sulla crescita, soprattutto attraverso le politiche volte allo sviluppo dell’innovazione.

In uno studio condotto dall'Unione Europea nel 2012 sui limiti alla crescita nel continente, era emerso come le grandi imprese contribuiscano, in modo più che proporzionale rispetto alle piccole, alla performance economica dei diversi paesi. In sostanza, le nazioni con le imprese più grandi hanno più successo, in termini di crescita economica, rispetto a quelle con una struttura industriale caratterizzata da piccole dimensioni.

Le imprese più grandi hanno, infatti, una maggiore produttività e un livello di profitti più elevato rispetto alle piccole. Possiedono una capacità competitiva superiore, operando nei mercati internazionali, sono più innovative e in grado di esportare maggiormente e in modo più profittevole. Inoltre, le imprese di maggiori dimensioni possono pagare stipendi più elevati e sono quindi in grado di attrarre le migliori risorse.

Nel nostro Paese si tende a sottovalutare questo dato, poiché è diffusa l'idea che la piccola impresa sia un elemento vitale del sistema industriale e che dunque in qualche modo vada preservata e protetta dai rigori della concorrenza e della globalizzazione. Non è un caso che l'Italia soffra, insieme alla Spagna, della sindrome di nanismo industriale, vale a dire del fatto che mediamente le imprese non riescano a crescere: oltre l'80% delle nostre aziende ha meno di 50 dipendenti e soltanto il 5% ha più di 250 lavoratori.

Sempre secondo i dati dell’Unione europea, la barriera più importante alla crescita nel nostro Paese è da ascrivere agli ostacoli all'innovazione, vale a dire ai costi elevati connessi allo sviluppo di nuovi prodotti o nuovi processi. Le aziende italiane investono molto meno in ricerca e sviluppo e registrano brevetti, marchi, copyright o design industriale in misura notevolmente inferiore alle altre imprese europee. Ciò comporta, in definitiva, un forte limite alla crescita dimensionale.

Questo dato è confermato da una recente ricerca svolta dalla Sda Bocconi, presentata nel giugno 2015 all'Assolombarda di Milano, in cui emerge che gli imprenditori ritengono che il fattore di gran lunga più importante per la crescita sia rappresentato dall'innovazione e, a seguire, dalle politiche di internazionalizzazione.

In questa stessa ricerca gli imprenditori intervistati hanno identificato alcune chiavi fondamentali per lo sviluppo dimensionale: il primo è costituito dalla consapevolezza della necessità della crescita, con l’abbandono del paradigma secondo cui rimanere piccoli dà dei vantaggi. Il secondo è il coraggio di andare oltre il core business, affrontando mercati sconosciuti con prodotti nuovi. Il terzo fattore riguarda la capacità di eccellere nell'innovazione incrementale, sia di prodotto sia di processo.

I nostri imprenditori chiedono giustamente ai vari governi di rimuovere alcuni dei vincoli che esistono per la crescita delle imprese, quali la pesantezza del sistema fiscale, la rigidità del mercato del lavoro, la lentezza della giustizia, la farraginosità della macchina pubblica. Dovrebbero essere tuttavia consapevoli che nei mercati globali la questione della crescita dipende sempre meno dalle condizioni del paese di appartenenza e sempre più dalla determinazione dell'imprenditore a puntare sull'innovazione e sulla crescita.

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