Come dare vita all’advocacy via social: 4 chiavi di engagement

Dal binomio social television-musica, alla distinzione tra promoters e follower, report e casi studio svelano i driver del successo.

I social media sono un terreno con potenzialità ancora tutte da esplorare, rilevare e quantificare per i brand. Una cosa tuttavia è certa: i consumatori, pur con le relative differenziazioni tra piattaforme e target, li usano costantemente. Altro dato di fatto è che alcuni marchi riescono ad essere molto coinvolgenti  tramite questi canali, trasformando la comunicazione verticale in passaparola virale e la semplice community in una fonte di advocacy.

passaparolaSecondo le ricerche il word of mouth tra amici e persone fidate resta fondamentale per 4 persone su 5 quando si tratta di decisioni di acquisto. Va da sé che la sistematicità e la portata con cui i social media riescono ad istituzionalizzare il fenomeno rendano quest’ultimo ancor più rilevante e di interesse per il marketing.

Complici alcuni studi e casi di successo, ecco allora 4 fattori chiave capaci di favorire l’engagement e mutare i seguaci in testimonial, o meglio advocates.

intel_tweet#Social Tv e musica binomio vincente. A dimostrarlo sono i Grammy Awards 2016, evento che da sempre genera grande fermento e che quest’anno è andato in onda il 15 febbraio. Molti marchi hanno utilizzato quest’ultimo per twittare, cercando di brandizzare le conversazioni e i contenuti, ma coloro che hanno ottenuto le migliori performance sono stati Intel, Target e MasterCard. A trionfare è stata la strategia di post incentrati sulla musica e sugli artisti, anziché sul premio stesso. Un programma mainstream può quindi fare da driver fondamentale, ma per distinguersi dalla massa serve un quid in più.

wersm_brand_advocacy#Priorità ai promoter sui follower. Come svela un’indagine di SurveyMonkey effettuata in 11 Paesi su 5.500 utenti social, solo il 19% dei follower è anche un promoter de diversi brand, ovvero predisposto a consigliarlo ad altri in caso di esperienza positiva. Il 58% afferma invece di essere propenso a condividere si il negativo che il positivo. I promoter devono rappresentare il punto di arrivo e come tale essere quantificati in termini numerici e riconosciuti, per creare comunicazioni più mirate. Per farlo è necessario ricorrere a strumenti adeguati e a un’implementata metodologia Net Promoter Score.

happy-worker#Cultura aziendale positiva. Il fashion e-tailer americano Zappos è spesso citato come massimo esempio di business con un approccio quasi evangelico alla creazione di sostenitori che partono innanzitutto all’interno della sua forza lavoro. Il guru del marketing Philip Kotler l’ha citato come caso emblematico di business dell’happifying capace di far parlare bene di sé e creare advocacy. Non si tratta in questo caso di un valore applicabile strettamente ai social, ma a tutta la brand image. Trasformare anche i dipendenti in advocates è un passo che fa la differenza e che spesso non viene realmente considerato dalle aziende, che trattano target e lavoratori come filoni completamente distinti. Questi ultimi possono invece risultare influencer autorevoli, diventando anche veri e propri testimonial, come dimostra la campagna Decathlon #LoFaccioPerché.

#Approccio integrato. Uno studio Nielsen Company rivela come i programmi televisivi possano ancora una volta essere veicolo per tramutare i fan di una data serie televisiva o di uno sport in advocates del brand, sempre grazie ai social.  Analizzando i casi studio di un marchio di automobili e di personal care, è emerso che una delle formule più performante è quella che mixa l’advertising sponsorizzato, a partire dai post su Twitter, la conversazione attiva dell’azienda durante l’on air del programma o dell’evento e possibilmente il product placement e la pubblicità televisiva tradizionale. A prescindere dalle disponibilità, l’approccio corretto è comunque quello integrato.

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