Con l’attuale crisi prevale il pensiero anapodittico

MARK UP LAB – Le crisi o meglio le depressioni psico-economiche (e tale è la fase che viviamo), in passato, hanno sollecitato il pensiero alto, quello delle grandi teorie e dei drammatici dibattiti tra menti acute. (da MARKUP 211)

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Oggi, stemperato, nella malinconia post-moderna prevale il pensiero anapodittico; quello basato su asserzioni autoevidenti. Un esempio: Ballarò (5 giugno), il conduttore legge un cartello che afferma: "se uscissimo dall'euro, un litro di latte costerebbe 5.000 lire".
Mi aspettavo che qualcuno chiedesse: "scusi, latte Aq o Uht? Perché c'è una bella differenza" e qualcun altro: "Ciò vuol dire che un salario di 1.200 euro diverrebbe di 6 milioni di lire?" (dato che evidentemente il fattore di conversione sarebbe lo stesso). Questo sarebbe stato un modo di ragionare dialettico per cui all'enunciazione di una tesi segue un'antitesi e poi una sintesi. Un ragionamento ben formulato sarebbe stato questo. Ammettiamo che il latte in Italia costi 5.000 o 5 lire. L'unica cosa importante è capire se domani il latte importato ne costerà 6.000 o 6, cioè se agli occhi del mondo la lira è sopravvalutata con conseguente alterazione dei rapporti di scambio con l'estero (nel bene e nel male).

In cerca d'effetto
Il pensiero anapodittico cerca l'effetto: "Ci vuole la Tobin Tax!" il pensiero dialettico suggerisce che ogni misura di politica economica produce effetti distribuiti nella colonna dei "pro" ma anche in quella dei "contro". Ed è la seconda la più importante e sfuggente!
La "speculazione" finanziaria ha dei "contro" evidentissimi, ma anche dei "pro". Analogamente la business community accolse con entusiasmo l'innovazione dei derivatives tanto da far assegnare, nel 1997, il premio Nobel ai suoi inventori Black e Scholes. Prevalse allora il pensiero anapodittico che non si curò dell'eventualità di un boom del mercato finanziario con conseguente "bolla" (puntualmente esplosa).

Meccanismo complesso
Nel nostro piccolo mondo del largo consumo accade la stessa cosa: "il consumatore in crisi cerca solo il prezzo!", Davvero? E allora perché non esplodono le vendite negli ipermercati delle camicie cinesi a 15 euro? Perché non vanno a ruba le confezioni da 2 kg di fuselli di pollo a 7 euro? Perche si vendono di più auricolari per telefono a 15, 25,30euroenona4eurocome quelli che ho comprato io? Forse perché il meccanismo psicologico che regola i comportamenti d'acquisto è più complesso della semplice equazione x=by (x, consumo e y reddito) del pensiero anapodittico?

Qualità vs prezzo
Quando affermo che gli shopper cercano, soprattutto in periodi di crisi, la massima qualità (compatibile con i mezzi disponibili) e non il prezzo, gli astanti mi osservano perplessi.
Il busillis è che mentre il prezzo è (quasi) chiaro e percepibile, la qualità è un concetto ambiguo e mutevole che oscilla tra il pleonastico (la moda, l'unicità ecc.) e il sostanziale (l'affidabilità, la durata, la funzionalità) tratti che la produzione combina in diversa misura in base all'umore dei tempi.
Ciò significa che, contrariamente a quel che pensano certi buyer, oggi vorrei le pesche migliori, tutte dello stesso calibro, perché non voglio buttare quelle brutte e insipide che tutti evitano; che potrei comprare il formato della stessa pasta da 1 kg o di 12 yogurt se percepissi chiaramente il risparmio implicito; che acquisterei la marca privata se mi fosse fatta assaggiare confrontandola con la marca industriale.

     
  Innovazione forzata
I periodi di depressione (e persino le guerre) oltre ai tanti segni negativi hanno anche dei "pro" in termini d'innovazione forzata dalle circostanze. Sempre avvalorano due principi. Primo, piangersi addosso non sollecita la solidarietà, ma eccita piuttosto l'egoismo. Secondo, in questi periodi speciali occorre "more brain, than sweat!" sebbene chi è disabituato soffra più a pensare che a sudare.
 
     

Allegati

211_Tirelli

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