Consumare non rende felici e le critiche aumentano

Esperti – Sta tornando in auge il pensiero anticapitalista: nulla di nuovo sotto il sole. Le limitazioni contro gli eccessi del consumismo hanno lontane e nobili radici: le leggi suntuarie dei romani(da MARKUP 202)

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Per mutuare i celebri versi del Pascoli, possiamo dire che c'è qualcosa di nuovo nell'aria, anzi di antico. Chi ha i capelli grigi lo avverte: il pensiero anticapitalista - o la cultura alternativa (se vi aggrada di più l'espressione) - che accompagna, come basso continuo, la mutazione dei nostri stili di vita, mostra uno straordinario vigore. Nei prossimi anni castigherà il consumismo legato al falso benessere, l'inevitabile pericolo per l'umanità (visione premonitrice di Celentano), la "vera piaga dei nostri giorni", secondo Beppe Grillo. E hanno ragione entrambi, certamente: il consumismo non porta la felicità. Ogni prodotto acquistato contribuisce semmai a lenire una piccola infelicità pre-esistente: la crema antirughe allevia la paura di invecchiare, un grande frigorifero evita di fare la spesa troppo spesso, la tv satellitare aiuta a vincere la noia.
La logica anticonsumista va di pari passo anche con l'evolvere della più grande democrazia di consumo: gli Usa. Dal reverendo S. Graham a J.H. Kellog, tanti furono i fustigatori dei consumi alimentari. Lewis Mumford perorò l'ingresso nella seconda guerra mondiale ed esortò gli americani a sacrificare il consumo, Paul Goodman deplorò il desolante materialismo dell'American Dream dei reduci di guerra, John Kenneth Galbraith ne criticò l'opulenza e tanti intellettuali prestigiosi teorizzarono stili di vita più nobili, dediti alla lettura (di quel che consigliavano i "sapienti"), all'ascolto della musica (colta), alla meditazione. La ricetta? "Learning to be happy with less".

La Scuola di Francoforte e la critica dei consumi
Nel 1962 Rachel Carson spiegò in "Silent Spring" la relazione nefasta tra consumo di massa e ambiente. Gli italiani la compresero, quattro anni dopo, con la sbrigativa sintesi sanremese del "Ragazzo della via Gluck". Nel frattempo Paul Enrlich profetizzava la "bomba demografica" e l'esaurimento delle riserve alimentari ed energetiche del pianeta con conseguenti inevitabili catastrofi. Dal canto suo, Herbert Marcuse, uno dei massimi esponenti della Scuola di Francoforte, scopriva i falsi bisogni indotti dal sistema che eclissavano quelli veri, profondi, spirituali. Non immaginava quel che sarebbe venuto dopo: telefoni cellulari, cosmetici, walkman, computer, viaggi low cost, cibi esotici, chirurgie plastiche, e altre infinite espressioni del più triviale epicureismo.
Cocciuti, gli americani (e con loro chi se lo può permettere) non vogliono saperne di decrescere. Ottusamente allargano il giardinetto dei loro desideri plebei. I jeremias, imperterriti, non si stancano di biasimarli. Ognuno con le sue idiosincrasie: le auto con le pinne (John Kenneth Galbraith); le cucine con i piani di granito (Juliet Schor); gli orologi svizzeri (Robert H. Frank); gli hamburger (George Ritzer), le marche (Nao­mi Klein); e in Italia si ripete il tutto, un po' così, per sentito dire. Tutto lecito, tutto regolare. Nulla da obiettare. Ma non mi dite, però, che questo è "il nuovo che avanza!".

  Le tasse sui Suv? ricordano la Lex Aemilia  
  Misurare la felicità degli individui è possibile: basta il rapporto tra somma delle spese possibili e somma di quelle desiderate. Diminuite i desideri (al denominatore) e la felicità aumenta: ci provò Zaleuco, nel 663 a.C., vietando alle donne di Locri di "indossare vesti dorate e di seta e abbellirsi con ricercatezza se non per prendere marito o per esercitare la prostituzione". Ci riprovò Aemilius Scaurus con la lex Aemilia che reprimeva il consumo di frutti di mare e di ghiri, di cui i romani andavano pazzi. E quanti tentativi fece la Chiesa cattolica? San Pier Damiani se la prese persino con l'uso della forchetta. E così via nei secoli, sino alla felicità universale promessa dal comunismo grazie alla compressione dei desideri dei consumatori e sino alla messa al bando della Coca-Cola Zero da parte di Hugo Chavez.  
     

 

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