Controcorrente? La diversità è ricchezza

Rossella Brenna, direttrice vendite, marketing e comunicazione di Unes ci racconta oneri o onori di appartenere ad un'organizzazione disruptive per definizione (da Mark Up n. 266)

Rossella Brenna, è il direttore vendite, marketing e comunicazione di Unes, non stupisce per chi conosce l’insegna, vulcanica, in perenne cambiamento che alle vendite ci sia una donna. Non tanto perchè le “quote rosa” siano uno dei cavalli di battaglia dell’azienda quanto perchè di fatto quando si vuole cambiare radicalmente sono necessarie scelte “controcorrente” come recita ormai da qualche anno la mission dell’impresa guidata da Mario Gasbarrino.
Una posizione rara la tua nella gdo italiana: qual è stato il percorso?
Sono arrivata da Esselunga, quest’anno sono 14 anni. In Esselunga ero a capo della divisione che si occupava dei dati Fidaty e del database. Per un paio d’anni ho gestito l’Ufficio Fidaty, che poi è diventato un call center, il servizio clienti, ma soprattutto la fetta di marketing che si occupava del data mining sui dati Fidaty ... dati di mercato, analisi di potenziali bacini per le nuove aperture. Nello stesso ufficio, un grande open space, c’era la squadra che si occupava dell’allestimento dei punti di vendita, l’ufficio display; una persona uscita da Esselunga e arrivata in Unes, mi ha chiamato per replicare il progetto in Unes. Ho cominciato facendo la responsabile marketing e comunicazione, ai tempi c’erano i volantini, quindi le campagne promozionali instore o door to door; c’era ancora il collezionamento con il catalogo della Privilege Card, quindi il database da gestire, i dati di mercato, i rapporti Nielsen, Iri, un classico ... Poi sono cominciati i primi esperimenti sul concetto di U2, quindi si è dovuto pensare a un nuovo modo di comunicare.
Quando siete diventati “controcorrente”?
Credo nel 2011, quando è cominciata la campagna con il pesciolino. Il primo negozio U2 aperto era febbraio 2007, ne avevamo fatti un paio come test prima ristrutturando vecchi U2, che di fatto allora erano dei soft discount. Si chiamavano U2 doppia convenienza, poi è diventato U2, prezzi bassi 365 giorni l’anno. Abbiamo aperto il 14 febbraio a Magenta il primo punto di vendita ed è iniziato con shampoo clamoroso di Gasbarrino: il posto era
un’area di nuova costruzione, in una casa a due piani dove c’era il nuovo edificio con il negozio, era inverno, una giornata caratterizzata da un grigio uniforme. Avevo messo cartelli segnaletici ovunque e dei palloni enormi, con i colori istituzionali, intorno all’area di parcheggio, perché si potesse vedere da lontano. Avevo speso un sacco di soldi ... ma Mario (Gasbarrino, ndr), arrivando si era perso ed era di pessimo umore. Un attimo dopo arrivò il signor Brunelli (patron di Finiper e di Unes) e senza saperne niente disse: “Bravi, bravissimi, abbiamo seguito i cartelli e poi abbiamo visto i palloncini, complimenti”. Era la prima apertura che facevo ... e me l’ero cavata!
Quando la nomina a direttore vendite?
Quasi cinque anni fa, ad aprile: eravamo in pieno Fuorisalone con una sorta di temporary, Mario Gasbarrino mi chiamò e mi disse: “Cosa ne pensa se le do la direzione vendite?”. Rimasi stupefatta: tipicamente è una funzione ricoperta da uomini, con un percorso professionale sviluppato internamente alle vendite, mentre io di vendite non ne sapevo nulla... Fui sincera: glielo dissi -lui lo sapeva benissimo-, ma non volle neppure farmi affiancare, per non farmi condizionare, mi disse, desiderava qualcosa di “diverso”. Gasbarrino voleva che si cambiasse l’approccio, si uscisse dallo schema tipico della vendita.
... cioè?
Dietro ogni sbavatura non solo c’è un costo, ma uno spreco di risorse temporali che ciascuno di noi può dedicare a fare qualcosa che dia valore aggiunto superiore. Quindi nell’offerta di Gasbarrino non c’era una richiesta precisa, quanto una volontà di rompere gli schemi. Non so se li ho rotti ... quando fai le vendite fai tutto, anche Il Viaggiator Goloso ...
Hai detto che le “vendite” sono tipicamente un mestiere da uomo: perché?
Tipicamente chi è nelle vendite è “bravo” se sta 18 ore al giorno in negozio e, statisticamente, è molto più probabile che ci stia un uomo piuttosto che una donna. Inoltre, molti sono partiti dalla gavetta e quindi selezionati in base alla forza fisica. Le cose stanno cambiando, anche grazie all’ingresso di nuovi manager che arrivano dall’industria. Rimane comunque difficile. Invece mi fa piacere e non mi riservo di manifestarlo, il fatto che ci  siano delle direttrici donne, ancora in numero limitato, anche qui le difficoltà non mancano ... mi è capitato di proporre delle crescite di carriera a delle figure femminili, superando la resistenza interna, ma poi sono sempre state loro a tirarsi indietro. Da una parte, il tempo e la famiglia, dall’altra la paura, perché si lotta contro tutto e tutti, devi smontare certi schemi, e se parti già in difetto ...
Con i buyer è più semplice?
Sì, se non altro perché ci sono più buyer donne, con sensibilità più affini a determinate merceologie, o con certe precisioni e attenzioni. Inoltre è un lavoro d’ufficio, e l’interlocutore, l’industria, è mediamente più evoluto. Recentemente, è stato inserito un buyer donna molto giovane ad acquistare i latticini self service -una merceologia che
vale il 20% del fatturato dell’azienda-. Era una delle ragazze inserite nel team del Viaggiator Goloso, con un background in Scienza della preparazione alimentare, e, prima ancora, lavorava nella preparazione dei menu per Trenitalia, quindi priva di esperienza specifica, ma l’obiettivo, anche in questo caso, è stato di “rottura” degli schemi: cercare sguardi nuovi su merceologie consolidate.
Per un’insegna come la vostra, disruptive per definizione, la “diversità” dovrebbe essere una via quasi obbligata ... o no?
La diversità in azienda assolutamente ha le gambe per diventare organica anche nella gdo, non per partito preso ma perché la diversità fa ricchezza, permette un confronto molto più rappresentativo dell’universo che è fuori dall’azienda; dà origine al confronto perché ci sono differenze oggettive tra i sessi e proprio per questo bisogna fare un mix delle caratteristiche peculiari di ognuno. Certo ci sono ancora molti pregiudizi e spesso il
rapporto con un interlocutore donna viene vissuto con un approccio maschilistico, ma un conto è parlare di donne, un altro di “femminucce”, che peraltro ci sono anche tra gli uomini. Vogliamo parlare del significato di “fare la femminuccia”? Se un uomo, un capo, ha un atteggiamento deciso, se si infuria, se persino urla e sbraita viene vissuto come normale espressione di dissenso di chi magari è un po’ sanguigno ma, in fondo, lo fa perché ci tiene. Al contrario, se lo fa una donna le eventuali urla sono indice di isteria e incapacità di gestire la situazione. A mio parere è necessario chiamarsi fuori dagli stereotipi. È la fatica del cambiamento e non dipende dal genere. L’approccio oggi dovrebbe essere: proviamo, poi vediamo, ma talvolta il “abbiamo sempre fatto così” riemerge e frena il cambiamento.
Quali sono gli obiettivi per il futuro?
In una visione a 5 anni, mi piacerebbe crescere ulteriormente. Come, dove, è tutto da vedere, ma vorrei avere nuovi stimoli, mi piace mettermi in gioco, imparare cose nuove, anche se ogni giorno c’è da imparare. Ho letto questa frase che mi è piaciuta moltissimo:
“Quando qualcuno ti sta spiegando qualcosa che non conosci, potrebbe avere anche cinque anni ma in quel momento è il tuo maestro”; questo deve essere l’approccio.
Un bilancio?
Sono arrivata ad un’età in cui cominci a fare valutazioni più ponderate, ovvero rifletti sulla qualità della vita. Inizi a fare riflessioni pensando che il tempo passato è molto più lungo di quello che hai davanti, quindi non vuol dire non voler lavorare, ma trovare la giusta situazione di armonia; potresti lavorare 18 ore, ma il tema è come lavori quelle 18 ore, con che approccio e serenità affronti le sfide quotidiane e le difficoltà del momento, posto che devi far coesistere una serie di altre questioni.
Per fortuna donne si resta: uno dei maggiori errori che si potrebbero fare è conformarsi al modello maschilista, perché si è costretti a lavorare in un mondo maschilista. Spesso è lo sbaglio in cui si cade: conformarsi al linguaggio, all’atteggiamento, allo stile maschile per esser “accettata” o per entrare all’interno del sistema. Non credo proprio che questo sia valore aggiunto.