Cresce l’obesità infantile: cosa aspettiamo a realizzare un’etichetta di pericolo?

Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n. 265)

Secondo un recente studio dell’Organizzazione mondiale della sanità (curato dall’Imperial college di Londra e pubblicato sulla rivista The Lancet il 10 ottobre scorso) il numero dei bambini e adolescenti obesi nel corso degli ultimi 40 anni è cresciuto di dieci volte, passando da 11 a 120 milioni. In proporzione, se nel 1975 l’obesità infantile era inferiore all’1% della popolazione del mondo, nel 2016, invece, è salita a quasi dell’8% per i maschi e del 6% per l‘altra metà del cielo.
È una emergenza troppo spesso sottovalutata, alla quale bisogna reagire cominciando dal
porre in essere serie iniziative per arginare gli eccessi del marketing alimentare ogni qual volta che questo esaspera l’accento su un maggior consumo di bevande zuccherate, snack e altri prodotti non proprio salutari. Si tratta purtroppo di campagne che realizzano potenti effetti sui consumatori, in particolare sulle fasce più deboli economicamente e socialmente.
Durante le mie lezioni nel corso di Gestione Etica d’Impresa all’Università degli studi di Roma3 cerco di stimolare gli studenti con un paragone forse azzardato (ma utile a colpire l’immaginario dei più giovani): sono solito mostrare alcune campagne pubblicitarie americane degli anni Cinquanta, che esaltavano la “godibilità” di fumare sigarette dal sapore intenso e piacevole.
Oggi noi tutti conosciamo l’evoluzione della regolamentazione che ha costretto il marketing del tabacco dapprima a ridurre la sua influenza, poi persino ad accompagnarsi a diciture idonee a rendere i fumatori consapevoli dei danni per la salute. È proprio questo passaggio che auspico per il marketing alimentare dove, prima o poi, certi prodotti saranno obbligatoriamente etichettati con disclaimer di questo tipo: “Consumare con moderazione e accompagnare a un costante esercizio fisico”. Non si tratta di una battuta a effetto: sono davvero convinto che tutti i prodotti a elevato contenuto di grassi, zuccheri o sale, dovranno essere segnati come “pericolosi” per la salute. Insomma non basterà più l’etichettatura se vogliamo che i consumatori, a prescindere dal grado culturale, sappiano evitare consumi eccessivi di prodotti ipercalorici. Qualche tentativo in tal senso è stato fatto: ad esempio ho festeggiato l’approvazione in California del cosiddetto soda warning, cioè un avviso obbligatorio che, secondo l’ordinanza della Contea di San Francisco del giugno 2015, doveva accompagnare la pubblicità delle bevande zuccherate per avvertire i consumatori sui rischi per la salute: “Attenzione: bere bevande con zuccheri aggiunti contribuisce a obesità, diabete e carie. Questo è un messaggio della Contea di San Francisco”. Poi purtroppo una Corte d’appello statunitense ha accolto i ricorsi dell’American Beverage Association e della California Retailers Association, bloccando questa etichettatura per violazione del diritto costituzionale alla libertà di parola. In sentenza troviamo che: “Concentrandosi su un singolo prodotto, l’avviso trasmette il messaggio che le bevande zuccherate sono meno salutari di altre fonti di zuccheri e calorie aggiunti e hanno più probabilità di contribuire all’obesità, al diabete e alla carie dentale”.
Eppure dobbiamo perseverare nel richiedere una “etichetta di pericolo”. Di questo mi sembra convinto anche il primo curatore dello studio che citavo in apertura. Secondo Majid Ezzati (Imperial’s School of Public Health) i dati sull’obesità giovanile “Riflettono in tutto il mondo l’impatto del marketing e delle politiche alimentari, con cibi sani nutrienti troppo costosi per le famiglie povere e le comunità”. Perciò “Abbiamo bisogno di regolamenti e tasse per proteggere i bambini dagli alimenti non sani”.

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