Crisi non uguale per grandi e Pmi

ECONOMIA & ANALISI – Per le aziende di ampia dimensione il focus dell’attenzione è sulla struttura. Le piccole sono propense a trovare motivazioni di carattere generale (da MARKUP 213)

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La crisi non è finita, titolava così il suo libro Nouriel Roubini nel 2010 quando molti pensavano di esserne usciti. Oggi a due anni di distanza le nostre aziende sanno bene che la crisi sarà ancora lunga e che i periodi di stabilità difficilmente si ripresenteranno. È inutile ripetere che crisi è anche opportunità, molte imprese la subiscono, senza essere in grado di cogliere quei fattori di cambiamento che potrebbero permettere la creazione di “valore” sia nell'organizzazione interna che nel business esterno.
Ciò è ancor più vero nelle Pmi. Per questo, nel contesto Italiano dove gran parte del tessuto produttivo è costituito da piccole e medie imprese, è importante capire nel dettaglio il vissuto della crisi, quanto e come essa stia modificando la percezione del “mercato competitivo”, gli obiettivi che si pongono e gli stili manageriali che le imprese di taglia medio-piccola sviluppano per galleggiare su un mare in tempesta.
L'indagine che l'Osservatorio Nomesis sulla Crisi ha realizzato si concentrerà in questo articolo, sui quegli aspetti che permettono di essere osservati e analizzati utilizzando come discriminante la dimensione dell'impresa, per comprendere i punti di forza e di debolezza dei diversi “format” imprenditoriali.

In casa propria
La consapevolezza che la crisi stia colpendo “la propria azienda” è decisamente maggiore nelle grandi imprese in cui spesso si percepisce, in modo tangibile, la riduzione del senso di sicurezza che da sempre si respira nella grande impresa e l'erosione dei benefit che nel tempo si erano consolidati.
Nelle Pmi è più presente una valutazione “politica” che definisce un quadro di pessimismo razionale: la competitività del sistema Italia è irrimediabilmente compromessa e non vale la pena investire nel nostro Paese, la politica sta lasciando le aziende da sole di fronte alla crisi. Le Pmi avvertono maggiormente il senso di “impotenza” di fronte a dati “strutturali” su cui poco o nulla possono incidere. Perché per far sì che la crisi sia una opportunità non basta la volontà dell'imprenditore, ci vuole un intero “sistema” che remi tutto nella stessa direzione e le Pmi percepiscono in modo più chiaro che il sistema Paese non le aiuta in questo momento, anzi considerano questo sistema una zavorra che depotenzia i loro sforzi.

Spirito d'impresa
Per contro lo “spirito dell'impresa” che rimane vivo nelle Pmi, dove spesso il titolare è inserito nei ruoli operativi, emerge nella maggiore condivisione del fatto che: “la crisi spingerà la mia impresa a migliorarsi.” Le Pmi sembrano credere maggiormente che, nonostante la fatica dei tempi di crisi, le opportunità si possono cogliere attraverso la spinta a migliorarsi.
L'immagine delle Pmi che emerge da queste risposte è quella di soggetti organizzativi “nati per correre” e non per “fermarsi e pensare”. D'altra parte sta nel loro Dna, la forte capacità re-attiva, lo spirito intuitivo dell'imprenditore che ha appreso l'efficacia delle azioni veloci che gli permettevano di presidiare il mercato. Sufficientemente piccolo per stare nelle nicchie e spostarsi dinamicamente da una all'altra, rispondendo ai bisogni mutevoli del proprio mercato con livelli di personalizzazione del prodotto/servizio, spesso “diseconomici” nell'immediato, ma strategici nella cura e fidelizzazione del cliente. La cultura maturata è prevalentemente volta a “guardare all'esterno” pensando che l'organizzazione possa essere efficiente e le risorse ottimizzate attraverso un'oculata gestione “familiare”, accentrata e dirigista, dei beni organizzativi.

Joint venture
Analizzare la differenza tra Pmi e grandi imprese, attraverso gli obiettivi che entrambe si pongono per uscire dalla crisi è illuminante perchè da obiettivi diversi discendono anche strategie da perseguire differenti.
Le strategie che comportano un focus prevalentemente interno sono proprie delle grandi imprese con un picco della differenza tra Pmi - Grandi imprese, nelle strategie di joint venture con finalità “organizzative” e contenimento dell'assenteismo (vedi Tab. 4).
Le Pmi non hanno delle proprie strategie che prevedano dei cambiamenti più o meno radicali dell'organizzazione aziendale per far fronte alla crisi. È inoltre palesemente assente un ragionamento sugli aspetti dimensionali, di cui spesso si parla quando si affronta il nodo della competitività delle Pmi. Tra coloro che individuano le joint venture e le fusioni con altre imprese per ottimizzare l'aspetto oganizzativo che sta alla base anche delle reti d'impresa, le Pmi sono solo il 16,7%, contro l'83,3% delle grandi imprese.

Scarsa consapevolezza
La scarsa attenzione della Pmi alla propria organizzazione interna emerge in tutta la sua debolezza quando si evidenziano le azioni necessarie per sopravvivere alla crisi.
“Dotarsi di nuovi metodi di organizzazione del lavoro, di turni più efficienti e flessibili” è visto come un'azione necessaria solo dal 27,30% delle Pmi contro il 72,70% delle grandi imprese. In sintesi si può asserire che dai dati raccolti emerge in modo chiaro che la cultura manageriale della grande impresa sta nella maggiore propensione a considerare l'innovazione un obiettivo perseguibile mentre gli “animal spirits del capitalismo” albergano maggiormente nelle Pmi, più propense a “correre” per tappare le falle che la crisi apre, spesso senza un disegno preciso, basandosi sull'intuito dell'imprenditore. Deve maturare nelle Pmi una nuova consapevolezza sull'essere imprenditore oggi. Fare impresa significa infatti misurarsi anche con i propri limiti manageriali, umani, cognitivi. È indispensabile che l'imprenditore sia cosciente della necessità di poggiare le proprie scelte su forme più diffuse di conoscenze e specialismi per riuscire a costruire una impresa plurale, piccola o grande che sia, in grado cioè di canalizzare organizzativamente le energie interne verso obiettivi condivisi, per far sì che l'organizzazione crei valore in senso lato per tutti gli stakeholder (imprenditori, collaboratori, fornitori e clienti). ■

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