Cushman & Wakefield leadership nei servizi immobiliari

Con uno spettro di azione su quasi tutto il mercato della consulenza real estate attraverso dieci business unit, si è rafforzata in Italia con l’acquisizione di Cogest (dallo speciale Mark Up Retail Real Estate)

Cushman & Wakefield (di seguito abbreviato in C&W) è una delle società di consulenza globali con più “storia”: un secolo, dalle origini, nel 1917, a Chicago. Leader a livello globale nei servizi immobiliari, dei quali copre quasi tutti i settori: è in Italia dal 1990, con la sede di Milano, e a Roma dal 1998. Cushman & Wakefield si è ingrandita, su scala internazionale (nel 2015 la fusione con Dtz) sia nazionale, con acquisizioni mirate, in particolare quella di Cogest Retail, specializzata nella commercializzazione e nella gestione di centri commerciali e retail park, con la quale C&W ha rafforzato tutta l’area dei servizi retail. In generale, nei primi due trimestri 2018 il volume complessivo delle transazioni (circa 3,3 miliardi di euro) segna una flessione del 40% rispetto allo stesso periodo 2017, che tuttavia aveva raggiunto un ammontare doppio rispetto alla media degli ultimi dieci anni. Ricordiamo che nel 2017 gli investimenti hanno toccato il record storico già registrato nel 2007, con oltre 11,3 miliardi di euro considerando tutti i settori ad esclusione del residenziale.

Quali sono le vostre previsioni in Italia per la fine del 2018?

Pesano sull’Italia fattori d’incertezza che rallentano le attività d’investimento. Alcuni investitori esteri hanno assunto un atteggiamento più freddo sull’Italia, valutando le opportunità con maggior cautela rispetto al recente passato; ma l’interesse rimane forte, anche in un’ottica di diversificazione europea. L’incertezza degli investitori è multifattoriale; tuttavia, le principali ragioni sono due, una di natura politico-finanziaria, l’altra di stampo più squisitamente immobiliare: da un lato l’instabilità finanziaria che potrebbe crearsi come conseguenza della conflittualità con l’Europa. La seconda, non meno rilevante della prima, rimanda a un fenomeno più prettamente real estate: la scarsità sul mercato italiano di prodotto di alto livello qualitativo, in linea con gli standard internazionali, risultato della limitata attività di sviluppo e riqualificazione negli ultimi anni: e questo ridimensionamento nei volumi d’investimento si registra in particolare nel settore direzionale (-58% al Q2 2018).

C’è anche un problema di prezzi e rendimenti?

I capitali internazionali continuano a rappresentare la componente principale degli investimenti (circa il 65%), ma l’attività degli investitori domestici (35%) è in aumento rispetto al 2017; continua la compressione dei rendimenti “prime”, con transazioni su uffici chiuse sotto il 3,5%, segnale di un mercato in salute in cui l’interesse continua ad essere forte; e infine la conferma dell’attenzione verso lo sviluppo immobiliare, sia che si tratti di grandi progetti di rigenerazione urbana, oppure di singoli immobili da valorizzare.

Un po’ diverso il discorso sui centri commerciali dove i rendimenti sono ancora abbastanza vicini al 5% (4,75% i “prime”). Uffici e retail si confermano dominanti per volumi transati (circa 35% ciascuno), seguiti da logistica (12%) e alberghiero (10%). Per quanto riguarda il direzionale, la limitata offerta di prodotto core genera elevata competizione comprimendo i rendimenti prime fino a raggiungere valori minimi storici, intorno al 3,5% netto per Milano, e 4% per Roma.

Quali sono le strategie degli investitori?

Gli investitori hanno iniziato ad ampliare e diversificare le strategie di investimento, valutando opportunità prime ma in posizioni secondarie, con solidi fondamentali immobiliari, oppure sviluppi o riqualificazioni per creare nuovo prodotto di grado A, con la flessibilità e l’efficienza attualmente richieste dai conduttori.

In altri casi, gli investitori hanno spostato la loro attenzione su asset class alternative, come residenze universitarie, strutture per anziani e/o sanitario-assistenziali, che tuttavia sono settori ancora poco maturi nel mercato italiano e possono richiedere una fase più lunga di analisi e valutazione sugli invetimenti.

Milano rimane la piazza più dinamica, confermandosi come “gateway city” in Europa, in grado di competere con gli altri mercati europei e attrarre un numero crescente di investitori e aziende.

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