Dobbiamo fare i conti con la riforma fiscale di Trump

Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n.266)

Da poche settimane il presidente Trump ha varato quella che lui stesso ha definito “la più imponente riforma fiscale”. Già si vedono i primi effetti e bisogna cominciare a riflettere sul suo impatto sull’intero sistema economico mondiale. Cosa sta succedendo negli Stati Uniti di fronte alla riduzione dell’imposizione sugli utili d’impresa dal 35% al 21% e incentivi al rimpatrio dall’estero dei capitali? Le imprese annunciano nuove massicce campagne di investimenti (stime parlano di 70 mld di dollari), riportano le produzioni nei confini nazionali e redistribuiscono ai lavoratori parte del vantaggio fiscale con aumenti salariali e bonus (130 aziende lo hanno promesso). Dunque incremento nella produzione, più occupazione, salari più alti, più consumi, ma soprattutto maggiore competitività e quindi più esportazioni. L’effetto sul commercio mondiale potrà essere molto significativo e obbligherà le maggiori economie basate sulle esportazioni a reagire (l’Italia è tra queste). Ci sono due strade principali: seguire gli Usa con un vigoroso taglio delle tasse oppure puntare su un forte recupero di produttività. La prima prospettiva per il nostro Paese appare sostanzialmente inattuabile: richiederebbe un iniziale pesante deficit statale, e ciò non è possibile a causa del nostro fardello del debito pubblico. Occorre quindi puntare sulla produttività, peraltro uno dei fattori strutturalmente critici del nostro sistema industriale. Non spetta a noi proporre ipotesi concrete di soluzione, ma è fondamentale lanciare un allarme basato sul realismo, in un momento nel quale prevalgono solo slogan elettorali. Il terremoto in atto al di là dell’Oceano presto produrrà un’onda sismica anche da noi.

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