Editoriale: anche l’eCommerce richiede massa critica

Per i retailer più piccoli sviluppare l’eCommerce in autonomia è troppo oneroso, ma diventerà un obbligo per fermare un cliente sempre più fedele ai servizi. Urge trovare alternative più flessibili (daMark Up 247)

Ha ragione Cristina Ziliani, quando, nel suo libro, Promotion Revolution, cita Amazon Prime come uno dei programmi di fidelizzazione meglio riusciti del mondo dell’eCommerce. Un’ulteriore conferma arriva da uno studio recente di Kibo, società di consulenza, sui consumatori britannici e statunitensi, più avvezzi degli italiani all’utilizzo dell’eCommerce (il 10% delle vendite in Usa e il 14% in Uk sono online). Dallo studio emerge che la fedeltà è sempre più in stretta relazione alla omnicanalità del retail. Cosa significa? Che quei consumatori, ormai assuefatti al mondo di Amazon Prime e dintorni, non prendono nemmeno in considerazione catene che non offrano almeno il servizio click&collect e, se sono sicuri di quello che vogliono acquistare, preferiscono di gran lunga l’ordine online e la consegna a casa (80%). Non solo: faranno di tutto per evitare di pagare la consegna. Sono, infatti, disposti a spendere di più pur di raggiungere il tetto minimo di acquisti necessario per assicurarsi la consegna gratuita, obiettivo, che possono anche decidere di raggiungere aderendo a promozioni con la spesa gratis a casa come premio. Inoltre, gli incontentabili consumatori 2.0 preferiscono dare la loro incondizionata fedeltà a quelle catene che riescono a consegnare il più velocemente possibile, meglio se in un paio d’ore (soprattutto per il grocery); accettabili le 24-48 ore per le altre tipologie di prodotto. Chiariamo bene: queste non sono richieste fatte agli operatori dell’eCommerce puro, ma alle insegne di riferimento. Al cliente interessa poco se quanto ordina arriva dal negozio sotto casa o dall’altra parte del mondo: è una questione totalmente a carico dell’insegna; il cliente sa solo che è possibile, che alcuni lo fanno, ed è pronto a trasferire la sua fedeltà verso chi rende la sua esperienza d’acquisto “seamless”, cioè disponibile quando, dove e come gli fa più comodo. La risposta dei big del brick&mortar non si è fatta attendere: molti, da Tesco a Walmart, hanno aderito per tempo a tali richieste o stanno lavorando alacremente, non tanto per soddisfarle (cosa già fatta), ma per rendere tali “servizi” sempre meno onerosi in modo da poter rivedere la luce, alias la marginalità. Walmart ha chiuso 269 negozi a fine gennaio, licenziando migliaia di persone. Il gigante dei department store, Macy’s, ha annunciato la chiusura di 40 dei suoi grandi magazzini entro il primo trimestre 2016: entrambi i retailer hanno, però, investito pesantemente nell’eCommerce, il che significa arginare le perdite e in qualche caso ricominciare a guadagnare. I veri problemi sono per le catene di piccole e medie dimensioni per le quali l’eCommerce è, in proporzione, ancora più oneroso, tanto più che, come contropartita, non avrebbero ulteriori vendite, ma un mero stop all’emorragia di clientela verso catene più organizzate. La domanda, per noi che guardiamo al recente lancio di Amazon Fresh, è: quanto ci metteranno i clienti italiani a farsi viziare, quanto tempo ci vorrà loro prima di dare per scontato consegna gratis e tempi brevi? Per il retail italiano non c’è (più) tempo da perdere.

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