Editoriale: nuove regole per valorizzare il lavoro

Cristina Lazzati, direttore responsabile di Mark Up e Gdoweek

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Entri in un supermercato, in un negozio e la persona all’ingresso ti saluta sorridente, cammini tra le corsie alla ricerca di qualcosa e un addetto, colta la tua perplessità, ti chiede “posso esserle utile?” Vai a fare la spesa nel banco della carne e ti rendi conto che hai davanti un macellaio che offre un consiglio o una ricetta, la cassiera interagisce con te con un “come va?”. Le persone sono sempre importanti, ma coloro che lavorano a diretto contatto con il pubblico lo sono ancora di più.

A febbraio, WalMart ha alzato i salari a 500.000 dipendenti, Mc Donald’s ha fatto lo stesso ad aprile e così Lidl, a settembre lo ha fatto Sainsbury (complice la legge sui salari minimi appena introdotta in Uk) Starbucks lo segue a ruota e aggiunge l’opportunità, per dipendenti interessati, di prestare loro a zero interessi il denaro necessario per avviare l’acquisto di una casa.

L’intervento del governo britannico sul minimo salariale sta inducendo un’intera industry a farsi delle domande; ma c’è di più, nel “libero mercato” anglosassone, qui ci spostiamo in Usa, l’abitudine di mantenere i dipendenti on call è stata contestata da più di una sentenza e nascono quindi nuove regole. Molti retailer si sono già adeguati riconoscendo che la qualità della vita del dipendente è importante per le sue performance: così lo stanno facendo Victoria Secret’s, Starbucks, Hollister e Gap Inc.

A noi italiani potrebbe anche importare poco di tutto questo, in fondo, la voce costo del lavoro è tra le più alte in Europa e, per chi opera nel commercio o nella manifattura di qualità, questa voce si fa ancora più importante. Ma quanto rimane nelle tasche dei collaboratori e quanta parte di questi introiti è valutata in base alle performance? Quanto chi fa bene è stimolato a fare meglio? È tempo anche per noi di rivedere le regole che riguardano il lavoro, anche per i livelli che vivono fuori dalle stanze dei bottoni.

L’Oréal lo scorso anno ha offerto un portatile e un cellulare con traffico dati a tutti i dipendenti a prescindere dal ruolo gerarchico e, successivamente, avendo dato loro gli strumenti, ha introdotto lo smartwork (la possibilità di lavorare anche da casa), l’operazione ha avuto un grande successo e i dati confermano che non solo i risultati non sono stati compromessi, ma anzi se ne sono avvantaggiati.

Però si tratta di casi, di grandi aziende, non c’è alcuna standardizzazione in questo senso. Perché il modello “collaborativo” funzioni, anche nel nostro Paese, è indispensabile fornire alle aziende la possibilità di premiare, di variare gli stipendi in base alla performance, ma è altrettanto necessario che l’azienda possa rammentare a coloro che, quello stesso lavoro lo svolgono con meno solerzia, che questo non è più accettabile.

1 COMMENTO

  1. Mio padre, dopo 30 anni di grandi risultati, mai un assenza da lavoro anche con 40 di febbre, team vincente di uomini, brillanti doti comunicazionali e di vendita, esce da Novartis post Glaxo (INGLESE) come se fosse IL QUALUNQUE del caso, senza 50 centesimi in più di riconoscimento per un servizio condotto con passione, amore e costanza. Una parola: DEPLOREVOLE. Uno schiaffo morale che mi spinge ancora una volta a persistere nel creare qualcosa di mio, senza essere asservita a nessuno, tanto meno a una MULTINAZIONALE.

    Elisa B.

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