Food & Beverage al centro, all’insegna dell’innovazione

Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n. 265)

Nei centri commerciali italiani il percorso di trasformazione della ristorazione da funzione ancillare a elemento trainante è in atto da anni. Ma è nel corso del 2017 che il comparto ha affermato sul campo il suo ruolo di àncora dotata di un’autonoma attrattività. Un fattore cruciale nelll’evoluzione del panorama settoriale, influenzata da dinamiche socio-economiche accelerate, che orientano i comportamenti d’acquisto di consumatori sempre più sofisticati e mobili. Nell’odierna dimensione omnichannel, dove tendono a sfumare i confini tra fisico e digitale, la shopping experience si lega in misura crescente alla capacità di declinare l’offerta su nuove proposte. Oggi è universalmente riconosciuto che un mix integrato di attività dedicate a ristorazione e tempo libero è condizione imprescindibile per valorizzare il carattere di hub relazionale attribuito ai centri commerciali all’avanguardia. Non è casuale che i recenti ampliamenti e i nuovi sviluppi siano contrassegnati da un’espansione delle aree dedicate alla ristorazione, con aumento dell’incidenza media sul totale intorno al 10% (Oriocenter e Adigeo si collocano rispettivamente al 18% e al 16%, dati Reno); abbinata a un miglioramento del profilo qualitativo in termini sia di concept sia di proposte, per accentuarne il carattere di destination. Del resto, è un fenomeno già evidenziatosi nei principali mercati europei: dove si prevede si possa raggiungere il 20% entro il 2025. In Italia, tra le motivazioni di visita, quella del “mangiare” rappresenta il 12,6%; ma si arriva al 35,2% aggiungendo “il divertirsi” e “il bellessere” (fonte: TradeLab). In Germania, un report di Ece (“Destination Food”) segnala che il 40% dei visitatori sceglie il centro commerciale in base all’offerta ristorativa. Secondo una ricerca Icsc, negli Usa le food court sono un aspetto importante per il 66% degli interpellati. I player più avveduti hanno intrapreso un processo di rinnovamento, improntato alla ricerca della distintività: destinato a proseguire, come testimoniano le iniziative di sviluppo e riqualificazione. Si va verso una maggiore segmentazione dei posizionamenti e delle formule: coprendo svariate categorie di domanda e tipologie d’offerta (quali Impulse, Refuel and Relax, Speed Eating, Fast-Casual, Casual Dining, Finer Drinking, Social Drinking, Gourmet Food, per riprendere la classificazione di “The Successful Integration of Food & Beverage within Retail Real Estate”, studio di Jll per Icsc). Cushman & Wakefield (“The Global Food & Beverage Market. What’s on the Menu?”) ritiene vi sia una “domanda latente per concept internazionali non standardizzati, food hall ispirate ai mercati tradizionali, che combinino la ristorazione servita con la somministrazione di cibo e bevande ‘al banco’, la vendita di prodotti da forno, l’offerta di prodotti legati al mondo della cucina, corsi e proposte di edutainment”. Lo sosteniamo da tempo. E ribadiamo che il successo sarà nel ritorno alla tradizione e nel recupero della lentezza; ripartendo da luoghi d’incontro che favoriscano la convivialità in ambienti accoglienti. Il rapporto Coldiretti Censis 2017 quantifica in 78 miliardi di euro la spesa dalle famiglie italiane per mangiare fuori casa (+8% rispetto al periodo pre-crisi): è un terzo dei consumi alimentari complessivi. Colmare il gap sulle occasioni di consumo serali, anche in relazione alla clientela alto spendente, può essere un potente driver di crescita. Un’ultima nota: il report Confimprese 2017 rileva che su 1.150 aperture 318 riguardano il food (+31,3% a valore sul 2016). La concorrenza s’intensifica e la saturazione è un rischio da tener presente. Non esistono ricette preconfezionate: e ogni bacino d’utenza è una realtà a sé.

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