Fuori dall’UE staremmo meglio di come stiamo adesso?

Gli opinionisti di Mark Up

Sembra che tutti i nostri mali, o quasi, derivino dalla partecipazione all’Ue. Eppure la liberalizzazione dei mercati, l’eliminazione di tante monete costose e fastidiose, la costruzione di diritti simmetrici dentro una giurisdizione sovranazionale, mi sembrano conquiste rimarchevoli, pure trascurando risultati non marginali come i 60 anni di pace, o l’essere la più grande comunità di persone senza pena di morte, la capacità politica e culturale di rendere storicamente possibile la dissoluzione dell’Urss accogliendone i disorientati frammenti. Credo, quindi, che l’opzione di lasciare la moneta unica o addirittura l’Europa dovrebbe essere sottoposta a un semplice test del tipo “fuori staremmo meglio di come stiamo adesso”? Sul punto è interessante notare che all’invocazione di abbandonare il club non segua mai una descrizione ragionata del contesto socio-economico che caratterizzerebbe il “fuori”. Altri aspetti dimenticati riguardano le politiche ambientali e di sicurezza a seguito della sottoscrizione di protocolli europei, per esempio Europa 2020. Si sa che il prodotto pro capite italiano è fortemente calato durante gli ultimi dieci anni, mentre è meno noto che i decessi per incidenti stradali sono diminuiti del 42,1% tra il 2005 e il 2014, passando da quasi 7.000 a meno di 4.000. Nello stesso periodo le emissioni di CO2 sono state ridotte di più del 26%. Risultati che non sarebbero stati raggiunti senza la partecipazione alla comunità internazionale. Propongo un esercizio intellettuale: pensare non l’Europa come problema dell’Italia, ma l’Italia come problema dell’Europa (infatti: è il nostro enorme debito pubblico a inibire la costruzione di una comunità più solidale).

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