Generazioni diverse in azienda? Un range d’età oltre i 37 anni è un plus

La diversity anagrafica che vede sul lavoro fino a 5 generazioni insieme è una ricchezza ancora sottostimata, che migliora le performance

È un mondo che cambia sempre più rapidamente, portando a divari di vissuto, cultura ed abilità significativi tra una generazione e l'altra. Ma non tutta la diversità, o meglio la diversity, viene per nuocere. Anzi. Come già affrontato più volte su queste pagine virtuali o cartacee quest'ultima si conferma essere una ricchezza (qui la nostra ultima intervista sul tema a Francesca Vecchioni).

In azienda il melting pot anagrafico attuale vede fino a 5 generazioni sullo stesso luogo di lavoro. Secondo quanto rilevato da un’università danese, le imprese i cui dipendenti hanno età differenti comprese in un range di 37 anni sono quelle in cui si riscontra il più alto valore aggiunto in termini di performance di team. Un dato che conferma quanto senior e millennial (ma ormai anche generazione Z) nella loro veste più collaborativa possano portare valore aggiunto all'intero sistema.

Ciò nonostante, “da un’indagine svolta da PwC, solo l’8% dei Ceo intervistati ha attivato strategie di diversity management con un focus sul divario generazionale in azienda – afferma Carlo Caporale, Ad di Wyser Italia, che ha effettuato un'analisi sul tema – Quindi, sebbene la maggioranza delle imprese abbia ormai compreso l’importanza della gestione delle differenze presenti all’interno dell’organizzazione, i programmi di diversity and inclusion management (D&I) si incentrano soprattutto su aspetti come genere, etnia, disabilità, mentre restano pochi i casi in cui il focus è sull’età”

Non solo. Come risulta da uno studio dell’European Social Survey, i professionisti più giovani sperimentano più spesso forme di pregiudizio legate all’età (age-based) da parte dei colleghi più anziani. Dall’altro lato, fattori come crescita zero e progressivo invecchiamento della popolazione portano ad una permanenza più lunga delle vecchie generazioni in azienda e a un’insofferenza dei giovani talenti che la percepiscono come un ostacolo per la loro carriera.

Tra gli strumenti più diffusi per colmare le divergenze e avvicinare le generazioni vi è il reverse mentoring.

“Un recente accordo nel settore bancario italiano, ad esempio – continua Caporale – prevede la possibilità di ridurre l’orario di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale nel periodo precedente al pensionamento, con agevolazione della copertura previdenziale che altrimenti rimarrebbe scoperta ed un corrispondente incentivo all’assunzione dei giovani, affiancati alle figure senior. La formula, da un lato, consente al professionista in uscita di affrontare il passaggio in maniera graduale, con benefici soprattutto in termini di qualità della vita. Dall’altro lato, gli incentivi permettono all’azienda di assumere nuove risorse, assicurandosi anche attraverso l’affiancamento la conservazione delle competenze al proprio interno”.

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome