I dati statistici vanno ben interpretati

Gli opinionisti di Mark Up: Mariano Bella, Confcommercio (da Mark Up n. 269)

Al di là di come evolva realmente la nostra economia, c’è un problema di interpretazione dei dati statistici che affligge molti commentatori e attori istituzionali, soprattutto nella lettura delle informazioni congiunturali. A marzo, l’Istat comunicava una crescita di circa 25mila occupati a gennaio su dicembre (dati destagionalizzati), suscitando diffusa soddisfazione.
Ad aprile, poi, il dato indicava una crescita di 19mila occupati in febbraio rispetto a gennaio, con l’usuale contorno di commenti positivi. Disgraziatamente nessuno dei supporter si preoccupa di guardare alla revisione che i dati subiscono riguardo ai mesi precedenti. Ad aprile, la suddetta crescita di gennaio su dicembre di 25mila unità è purtroppo diventata una riduzione di 7mila unità. Tanto che la differenza tra febbraio e dicembre non è già di 44mila unità (25mila+19mila), ma soltanto di 12mila occupati. Ciò
è naturale perché i processi statistici di produzione dei dati mensili implicano revisioni rilevanti (che, stimiamo, possono cambiare il segno della variazione se incrementi o decrementi iniziali del numero di occupati stanno dentro le 30mila unità circa). Non mi aspetto una revisione dei commenti riguardo al passato, ci mancherebbe. Sarebbe bello leggere, però, commenti che guardino a periodi più estesi del mese, informati da una razionale cautela, necessaria a distinguere impulsi statisticamente poco significativi rispetto a variazioni realmente meritevoli di un’articolata valutazione. Incidentalmente faccio notare che da cinque mesi il mercato del lavoro è fermo, cioè nel primo bimestre del 2018 gli occupati sono in numero inferiore a quello di agosto-settembre 2017.

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