I vizi capitali… dell’innovazione

L’incognito fa emergere lati del carattere assopiti che, se sommati a quelli di altri, possono rendere le atmosfere d’impresa non proprio idilliache (da Mark Up n. 275)

Perché usare i vizi capitali, termine poco laico, per tentare di mettere ordine nella trattazione di un tema così delicato come l’innovazione d’impresa compromessa? Perché essi hanno un’attualità centrale nel mostrare e riassumere i classici errori dell’uomo.

Il fattore umano è un fattore critico di successo/insuccesso dell’innovazione. Non esiste settore in cui non sia possibile innovare, sono le persone più o meno propense o capaci, o dello spirito giusto, con o senza visione, che fanno la differenza. Ma non se ne parla quasi mai.

Problemi di relazione, di carattere, di insoddisfazione professionale, vere e proprie patologie borderline (a volte) sulle quali spesso bisogna soprassedere, sono elementi critici importanti soprattutto quando in un’azienda si affronta il delicato tema dell’innovazione: affacciarsi al nuovo, all’incognito genera sempre, anche inconsciamente, un po’ di paura e l’incognito fa emergere lati del carattere assopiti che, se sommati a quelli di altri, possono rendere le atmosfere aziendali decisamente mefitiche. C’è sempre la tendenza ad apparire perfetti, a mostrarsi sempre equilibrati, competenti, gentili, empatici con grande capacità di vision e autocontrollo. Ma se fosse così le aziende non fallirebbero mai.

Ovviamente nessuno è completamente esente da errori comportamentali; è solo una questione di misura, di equilibrio, di sfumature. Siamo tutti un po’ superbi o magari semplicemente orgogliosi, ci è capitato di essere invidiosi, alle volte irosi o anche accidiosi. Ma quando diventano comportamenti estremi, quindi propriamente vizi, generano problemi anche gravi nelle relazioni.

Superbia

Si può essere superbi caratterialmente, avere un’eccessiva autostima, ma non essere nessuno, oppure si può essere superbi perché si è effettivamente bravi, perfetti, di successo. Di fatto però il superbo non ascolta (finge di ascoltare), impone o fa in modo di imporre in modo subdolo, non cresce, rimane fermo perlomeno fino a quando non cozza violentemente contro il suo errore in modo così forte da cambiare. Il superbo, quando ha un ruolo, lo fa valere fino in fondo e schiaccia chiunque oscura la sua falsa luce. Quando c’è un gap di competenze elevato, oltre a creare problemi di relazione diventa dannoso per l’azienda. Alla fine, viene da dire che la superbia è il vizio degli incompetenti, in quanto chi è competente sa, perché impara costantemente dagli altri e dall’ambiente circostante, e per farlo occorre umiltà.

Invidia

Un vizio strano, perché non procura nessun vantaggio a chi lo coltiva in quanto la soddisfazione dell’invidioso è volere vedere rovinato a tutti i costi (anche di basse performance aziendali) il suo rivale. Il team è un insieme di individui diversi per storia, esperienze, competenze, ruoli, sensibilità, carattere. La presenza anche di un solo invidioso all’interno di un gruppo di lavoro rallenta tutti, genera anche negli altri, magari con intensità diverse, azioni di difesa che non portano mai a nulla di buono. È la cosiddetta competizione all’interno di un gruppo.

Avarizia

Gli avari sono costantemente pessimisti. L’imprenditore avaro non è quello che tenta di far quadrare i conti, è parsimonioso negli investimenti, sa valutare quando e come spendere il frutto della propria attività: è colui che diventa completamente cieco. Avaro e, quindi, pauroso, non è in grado di gestire l’innovazione non solo perché non vuole investire in analisi, R&D, macchinari, listing e comunicazione, ma perché ha il terrore che il nuovo prodotto non sia adeguato e, alla fine, non abbia successo. E vedere il suo EBIT ridotto, è per lui una cosa inconcepibile che gli provoca, a volte, anche problemi fisici. Infine, l’imprenditore avaro assume persone poco capaci per spendere di meno.

Accidia

È il vizio più deleterio nel processo di innovazione perché è quella sorta di apatia, mista a noia ed indifferenza, che fa sì che l’individuo faccia solo il minimo indispensabile per sopravvivere. L’accidia è qualcosa di permanente, che non impedisce all’individuo di svolgere il suo lavoro, ma lo rende inadatto sia al lavoro di squadra sia a mansioni all’interno di un processo innovativo.

Soluzioni: umiltà ed empatia

Quali sono le parole chiave almeno per prendere coscienza di queste problematiche e capire come procedere? E tra queste quali incidono sul processo innovativo? Senz’altro, la parola umiltà è quella più importante, sia per prendere coscienza dei problemi sia per risolverli efficacemente. È trasversale a tutto il processo dell’innovazione e, come la superbia lo ostacola, l’umiltà lo favorisce. Umiltà ed empatia vanno a braccetto: l’intelligenza empatica oggi è di fondamentale importanza nello sviluppo delle organizzazioni.

Lavorare sull’intelligenza empatico- sociale delle persone (metodologia innovativa che parte dal meccanismo dei neuroni specchio) è il modo naturale più efficace per risolvere i problemi comportamentali all’interno di esse, per svilupparle e valorizzarle nel tempo e nei contesti, perché si agisce su ciò che è fisiologicamente insito in noi.

Strade percorribili quando si individuano questi problemi molto umani?

È banale affermare che in un ambiente sereno dove i problemi si risolvono in modo rapido ed indolore, si lavora meglio rispetto ad ambienti dove regna l’ansia che deriva dalla competizione interna e dall’invidia. Il primo passo, forse il più difficile, è quello di prenderne consapevolezza, ammetterlo soprattutto da parte dei vertici, della proprietà.

A quel punto esistono professionisti specializzati in counseling in grado di individuare i gap, i problemi ed aiutare i singoli e la squadra a superarli, dando soprattutto strumenti interiori, senza dare dispense o fare dotte conferenze, ma lavorando fianco a fianco delle persone per aiutarle concretamente, preparando il campo per cambiamenti aziendali o lo sviluppo di processi innovativi.

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