Ibridazione tra retail e istituzioni museali

MARK UP LAB – Il 20 novembre 2009 Comme des Garcons stupì il mondo del retailing, non solo fashion, con l'inaugurazione del concept store Trading Museum a Tokyo, quartiere Omotesando (da MARKUP 211)

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Gli spazi, concepiti e progettati da Rei Kawakubo, stilista e interior designer giapponese fondatrice della maison di moda e del brand Comme des Garcons, ospitavano pezzi dell'archivio storico accanto alle nuove linee, raccolte ed esposte in otto preziose teche in legno e vetro provenienti dall'Albert&Victoria Museum di Londra, il più grande museo di arte e design del mondo. Un nuovo stimolo al retailing internazionale, una nuova idea di layout, di disposizione dei prodotti, d'interazione con i clienti all'insegna dell'apparente ossimoro museum/trade, museo/negozio/merce/consumo. E come suggerisce il nome stesso, Trading Museum, questi opposti (l'ammirare e non toccare dei musei e il toccare, provare e comprare dei negozi) tutt'altro che risolti, disorientano e un po' ingannano chi entra. Ciò che è esposto è anche in vendita? Non stupisce rilevare nel mondo del fashion retail d'avanguardia, in diverse formule combinatorie, le contaminazioni formali ed estetiche derivate dal mondo dell'arte (oltre che del design e dell'architettura) con la particolare e specifica ricorrenza dell'oggetto posto in una teca. Ritroviamo, per esempio, questo elemento nella Boutique Antonia, che occupa tre piani di Excelsior, il department store di lusso milanese di Coin, inaugurato lo scorso novembre. La messa in scena e la disposizione richiamano il concept di Trading Museum. Abiti e accessori, sono esposti in numero esiguo all'interno di vere e proprie teche che ne celebrano sacralità e solennità. È evidente che la scelta di concepire un negozio come una galleria o una sala di un museo, implica che ogni oggetto presente al suo interno assurga o risulti in qualche modo innalzato allo status di opera d'arte. E questo è parte delle nostre esperienze di consumo nel mondo moda. Ma se questa scelta celebrativa della merce la fa una macelleria, il fenomeno già degno di nota, diventa commercialmente interessante.

Come installazioni artistiche
Victor Churchill, macelleria storica di Sidney, fondata dalla famiglia Puharich nel 1876, è un caso ormai famoso per la cifra espressiva e il posizionamento fashionmuseale. Polli, prosciutti, piatti pronti della gastronomia, pezzi di carne e quarti di bovino, di per sé vere e proprie installazioni artistiche all'interno del negozio, sono appesi e disposti secondo i criteri di visual merchandising evoluto degli store di moda. Le vetrine sono teche frigorifere, di legno e cristallo in cui i tagli migliori, sapientemente mescolati a qualche oggetto estraneo (soprattutto accessori moda) fanno bella mostra di sé come fossero oggetti di design limited edition. Non c'è dubbio che tutto ciò che è sotto teca, pur strizzando l'occhio al museo, è in vendita e dunque la domanda "contemplo o compro" è di fatto retorica. Tuttavia, nel panorama di polisensorialità diffusa, delle esperienze di varia natura (dal try-before-you-buy alle varie forme del retailtainment ecc.) l'effetto freezing del guardare e non toccare, la distanza emotiva e la leggera soggezione indotta dalle analogie con gli spazi espositivi delle istituzioni culturali e dell'arte è una scelta interessante per molti motivi. Il punto di vendita, teatralizzato, rimanda a uno spazio artistico-culturale e acquisisce nuovo potere di intrattenimento. L'esperienza di fruizione della clientela, che è contemporaneamente "pubblico visitatore", così come l'esperienza d'acquisto, sono fortemente influenzate dal mood e dall'estetica museali, in quanto elementi relativamente inediti nel mondo del retailing.
La merce esposta si sovraccarica di esclusività e significati simbolici, legati al mondo e all'immaginario dell'arte, che aggiungono valore alla qualità e unicità dell'offerta. Nella realtà dinamica e mutevole del retailing contemporaneo, la simulazione all'interno degli spazi.

Allegati

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