Il consumatore diventa “glocale” mixando ingredienti diversi

Esperti – Viaggi, flussi migratori, villaggio globale e social network che non hanno confini finiscono per globalizzare anche i consumatori. Che accolgono, adattando. L'esempio della cucina fusion. (Da MARK UP 184)

1. Si appropria dei prodotti di altre culture

2. Li trasforma e li reinterpreta adattandoli alla propria

3. Nel farlo manipola gli asset immateriali associati ai prodotti, alterando il posizionamento pensato dalle imprese

La discussione sulla globalizzazione è caratterizzata da una quasi totale egemonia del punto di vista dell'offerta, tutta centrata sulle imprese e le loro risposte all'ampliarsi dell'arena competitiva e alla possibilità di sfruttare economie di scala un tempo a disposizione di poche grandi multinazionali. La domanda è naturalmente presente, ma in modo indiretto, come elemento di ostacolo, che genera costi perché rende necessario adattare l'offerta per relazionarsi con i consumatori dei tanti luoghi del mondo e alla varietà di culture che in essi ancora prevalgono. In questa visione molto centrata sull'impresa il ruolo del consumatore emerge dalla capacità di sfruttare tutte le economie messe a disposizione da mercati sempre più permeabili ma, nello stesso tempo, di sapersi anche adattare per aderire ai clienti che queste culture esprimono. Ma se è vero che la prospettiva deve sempre essere quella del cliente, perché non valutare la globalizzazione dal suo punto di vista? Che cosa significa per il consumatore, e quali meccanismi reattivi genera? Viaggi, flussi migratori, villaggio globale della comunicazione e social network che non hanno confini, finiscono per globalizzare anche i consumatori.

Fusion nell'alimentare

Riprendendo una parola di nuovo usata pensando alle imprese, sembra evidente che il consumatore più che globale sia “glocale”, rimanga cioè in parte legato alle proprie radici, ma adotti, in misura diversa, secondo i casi, anche prodotti appartenenti ad altre culture e con essi un bagaglio di valori e comportamenti con cui s'identificano perché legati ai paesi di provenienza. La globalizzazione dal punto di vista del consumatore è anzitutto la possibilità di aderire a pezzi di culture diverse da quella di origine. In un ambiente chiuso la cultura è data e si può solo cercare di muoversi criticamente al suo interno; in un mondo globale si può scegliere, adottando idee, credenze, atteggiamenti e, per ciò che qui interessa, i prodotti che li rappresentano. È un processo complesso che non comporta solo adozioni tout-court, ma più spesso adattamenti e ridefinizioni attraverso la rilettura di ciò che arriva da altre culture attraverso gli strumenti della propria.
L'adattamento dei prodotti è, infatti, assai più il portato della loro metabolizzazione da parte dei consumatori che non delle azioni delle imprese che li propongono.

Ne è un esempio ciò che sta avvenendo nell'alimentazione, una delle aree del consumo più legata a fattori culturali in senso lato: nel food si è appunto creato un processo che ha portato alla nascita di un'intera categoria di offerta che si definisce con la parola fusion. È questa la prospettiva più utile per le imprese: capire come i loro prodotti vengono assorbiti nelle culture dei nuovi mercati nei quali diventano disponibili e razionalizzare su questa base le loro scelte di posizionamento. Comprendere come avvengono questi processi di adozione e glocalizzazione è fondamentale perché proprio da tali processi dipendono in modo spesso rilevante tenuta e valore degli asset immateriali riconosciuti ai prodotti. L'alimentare italiano ne è un rilevante esempio: in molti casi, anche per effetto dei fenomeni di contraffazione, l'identità che li ha caratterizzati si fa meno univoca e riduce il vantaggio competitivo delle imprese italiane rispetto ai cloni nati in altri paesi. In molti comparti merceologici la produzione sta seguendo l'esempio di quanto avvenuto nel mondo della pizza, italiana sì, ma riproducibile ovunque con le varie fusioni con cui viene reinterpretata.

*TradeLab

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