Il declino è davvero inevitabile?

E’ possibile evitare il declino competitivo? Quali accorgimenti a livello strategico e organizzativo possono aiutare l’impresa a rimanere competitiva nel tempo?

Ha destato non poco scalpore la notizia ribattuta pochi minuti fa dal Corriere Digitale relativa al FALLIMENTO DI APPLE. L’azienda di Cupertino ha rappresentato per molti anni un benchmark di riferimento a livello mondiale. L’innovatività dei suoi prodotti è stata osannata in gran parte dei manuali di Marketing ed Innovation Management. Il suo modello di business vincente è stato spiegato a milioni di studenti di Economia e Management in tutto il mondo. Eppure, Apple è fallita (Guido M. Bortoluzzi, Corriere Digitale, 12 Dicembre 2021).

Non me ne vogliano i fan(atici) di Apple, tra cui si annoverava anche il sottoscritto. Auguro lunga vita all’azienda della mela. L’introduzione di cui sopra serviva solo ad avanzare la seguente domanda: vi stupireste davvero se questo accadesse sul serio? Non più di 5 anni fa un gigante come Nokia era ancora leader mondiale (in termini di quota di mercato) della telefonia, ma il suo modello di business veniva comunemente definito come fallimentare e senza futuro. Solo l’intervento di Microsoft pare aver ridato speranza ad un’azienda che aveva perso il treno del cambiamento.

Questo fatto mi ricorda un bell’articolo scritto nel 2012 da Gerry Johnson, George Yip e Manuel Hensmans per Sloan Management Review, la rivista dell’MIT di Boston. In questo articolo, i tre si chiedono se il declino dell’impresa sia inevitabile e se tutte le aziende, prima o poi, siano destinate a vedere i loro modelli di business sprofondare in uno stato di crisi di competitività derivante da uno scollamento tra la loro vision, le strategie e le politiche aziendali e l’evoluzione del contesto tecnologico e di mercato di riferimento.

La risposta fornita dai tre è naturalmente “no”. Le aziende “ambidestre” hanno la capacità di rimanere al tempo stesso allineate alle fonti odierne del vantaggio competitivo e di cogliere in anticipo le tendenze emergenti.

Aldilà del concetto di “ambidexterity”, sia a livello organizzativo che manageriale negli ultimi anni sono fioriti una molteplicità di termini, di soluzioni e di strategie che hanno un minimo comune denominatore: la velocità del cambiamento (e le modalità per gestirla).

Ives Doz e Mikko Kosonen (California Management Review, 2008, vol.50, n.3) sostengono la necessità per le imprese di diventare più “agili” a livello strategico al fine di rimettere rapidamente in discussione le proprie scelte, anche le più profonde, non badando ai costi “affondati”. Rita McGrath nel suo “The end of competitive advantage” (Harvard Business Review Press, 2013), suggerisce di abbandonare il concetto di vantaggio competitivo “sostenibile” per attrezzarsi a rincorrere dei vantaggi competitivi solo “transitori”.

Ancora, Jeff Dyer, Hal Gregersen e Clayton Christensen ci spiegano nel loro ultimo libro “The Innovator’s DNA” (Harvard Business Review Press, 2011) che le imprese maggiormente innovative fanno leva su personale dotato di specifiche caratteristiche, tra cui la capacità di associare concetti apparentemente incorrelati, di mettere in discussione lo status quo e l’abilità di fare networking dentro e oltre l’impresa.

Cosa conterà di più per essere capaci di anticipare il cambiamento nell’attuale contesto competitivo? Quali strategie? Quali attitudini individuali? Quali competenze d’impresa? Quali soluzioni organizzative? Quali modelli di business? Io ancora non l’ho capito. E voi?

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