Il fattore umano riconquista l’economia

di Nadia Tadioli

Nel fascicolo in edicola le strategie di Unilever Italia, Ferrero, Conad, Ikea Italia Retail, Leroy Merlin, Saponificio Gianasso, NaturaSì

Una formula per certi versi semplice: il minor impatto ambientale possibile abbinato al maggior impatto sociale propositivo comportano una crescita derivata, premiata dal profitto ragionevole. Difficile che esso coincida con la sua massimizzazione -soprattutto nel breve- ma questo è il prezzo da pagare alla nuova epoca industriale. Detto in altre parole: vendere, ma non tutto, non a chiunque, non a qualunque costo. Dalla mercificazione della società, alla socializzazione dei consumi. Il cerchio è quasi chiuso e ormai la consapevolezza di tutti gli attori coinvolti (produttori, distributori e consumatori) sta modificando sensibilmente la percezione dei prodotti e conseguentemente del loro consumo. Per molti (non tutti) il denominatore comune di questa rivoluzione è uno solo: l’uomo. Cioè l’impatto sulla vita delle persone sia in fase di produzione e vendita sia in fase di consumo. Il vecchio detto “ciò che è buono per il business è buono per la società” viene ribaltato in “ciò che è buono per la società è buono anche per il business”. Copernicano. E da questo punto di vista la sostenibilità di un prodotto è un elemento che difficilmente può essere trascurato. Per le aziende questa è una grande opportunità. La richiesta di un cambio di prospettiva e la riscoperta di valori e modi di fare impresa che in alcuni casi si credevano superati, porta in sé molte opportunità. Non è azzardato in tal senso parlare di Nuovo Umanesimo.

Guardare lontano Il nostro è un pianeta affollato. Grazie ai social network l’irrequieta farfalla che sbatte le ali in Indonesia può sempre più velocemente provocare terremoti nel supermercato sottocasa. Figuriamoci se a sbattere le ali sono 7 miliardi di persone, in rapida crescita per di più. L’informazione corre sui social e contemporaneamente si trasforma e si deforma. Un esempio emblematico è l’olio di palma, che molti consumatori considerano ormai cancerogeno. Per opporsi all’instabilità psichica del mercato, occorrono strategie a lungo termine, chiare e coerenti. L’azienda previdente trova alleati insperati, come è successo a Nutella, ormai apertamente sostenuta da una campagna di Greenpeace. L’uscita di Ségolène Royal, che invitava a non mangiarla, ha causato la pronta risposta dell’associazione: “Non devi evitare la Nutella se vuoi salvare le foreste. Ferrero è un gruppo all’avanguardia per sostenibilità ambientale ed è una delle aziende che sostiene il progetto del Palm Oil Innovation Group”. Inseguire i risultati trimestrali è sempre meno un’opzione che paga. Lo dimostra uno studio di Global Strategy, secondo cui l’identikit delle imprese italiane eccellenti, che hanno continuato a crescere a doppia cifra anche durante la crisi, si basano sulla visione strategica, a cui si affianca la capacità di innovare e l’efficienza aziendale. Il fattore umano è molto importante: sono per il 92% di imprese familiari, che assumono stabilmente e hanno una fidelizzazione molto alta di manager e dipendenti, visto che il 60,6% ha una anzianità in azienda superiore ai 10 anni. Un elemento che secondo Global Strategy consente di assicurare continuità e sviluppo.

Buono, pulito e giusto Così i consumatori vogliono il prodotto, lo slogan di Slow Food ha conquistato anche i palati meno esigenti e si è esteso ben oltre l’alimentare. E non è tutto, perché i prodotti devono essere anche facili da consumare o da conservare e a prezzo accessibile. Un’equazione complessa da risolvere, ma su cui l’italiano del terzo millennio non transige, Sud e isole comprese. D’altra parte le statistiche non lasciano adito a dubbi: nonostante le contrazioni dei consumi, il biologico è un comparto con crescita a doppia cifra negli ultimi dieci anni e ormai  vale 2,5 miliardi di euro con una crescita del fatturato del 16% nei primi 4 mesi del 2015 e del 12% nel 2014. Con una crescita record al Sud del 30% per quanto riguarda uova, confetture, frutta, panetti croccanti e pasta. Stesso andamento positivo lo hanno registrato nel 2014 le vendite di prodotti equosolidali Fairtrade, il protocollo che garantisce una vita dignitosa ai coltivatori, con un accento spiccato sulla sostenibilità per quanto riguarda le tecniche di coltivazione. Una crescita del 17,8% rispetto all’anno precedente fino a raggiungere i 90 milioni di euro. Intanto si registra una crescita anche nei segmenti meno tradizionali, come la frutta fresca ma anche in lattina e in purea, il cui volume complessivamente cresce del 29%.
Un approccio fair diventerà sempre più necessario anche in un’ottica nazionale. L’esempio di Libera Terra è illuminante e l’osservatorio di Altromercato, che non a caso propone il marchio Solidale Italiano, mostra che oltre 6 italiani su 10 si dimostrano sensibili a temi quali equità, giustizia sociale, tutela dell’ambiente e disponibili a cambiare il proprio stile di vita. Sette su dieci inoltre ritengono che questo sia un compito non solo individuale ma anche di istituzioni e aziende. I temi più sentiti sono i diritti di donne e bambini (24%), difesa dell’ambiente (23%), trasparenza e responsabilità (17%).

Il ruolo della gdo Trait d’union fra produttore e consumatore, la gdo ha nel dna la capacità di mettere l’uomo e le sue esigenze al centro della sua azione. E sempre più spesso oltre a vendere beni di consumo si trova oggi a svolgere il ruolo di informatore. In attesa che nei supermercati arrivino le etichette aumentate che spiegheranno al consumatore origine e sviluppo dei prodotti, valori etici e nutrizionali compresi, la distribuzione sta diventando un luogo sempre più social: laboratori, dimostrazioni, corsi vanno ormai molto al di là del semplice assaggio di prodotto. L’esperto spiega le caratteristiche delle mele della val Venosta all’Esselunga, in Coop i bambini seguono corsi per imparare a leggere le etichette, in Ikea si impara a cucinare gli scarti, da Leroy Merlin a riciclare perfettamente.
L’apertura al quartiere e alla città è diventato un must, esperienze come quelle del banco alimentare hanno consolidato il rapporto con le associazioni e la partecipazione di azienda e consumatore a un progetto sociale comune ha anche il pregio di rinsaldare i legami e aumentare la fidelizzazione. Anche le scuole diventano un luogo deputato all’incontro, come nel caso di NaturaSì, che ha dato vita in alcune scuole di Milano a un orto bio, invitando anche i nonni a cooperare e portando poi i bambini in visita in una delle proprie fattorie.

Effetto Expo Un elemento in grado di saldare l’azione di distributori e consumatori è la lotta allo spreco. È un tema molto sentito in entrambi gli schieramenti. L’81% degli italiani controlla se il cibo scaduto è ancora buono prima di gettarlo ed è diventato più sensibile a questi temi, complice la crisi. Ma ancora oggi più di 8 miliardi di euro di cibo all’anno vengono gettati nella spazzatura e il 42% di questo spreco avviene a livello domestico. Lo dice il Rapporto 2014 Waste Watcher - Knowledge for Expo di Last Minute Market e SWG. La percezione delle famiglie però è che a sprecare di più siano i supermercati e la grande distribuzione (36%), seguiti da ristoranti (18%), famiglie (15%), mense scolastiche (12%), ospedali (11%) e mense in generale (8%). Prima che anche in Italia arrivi una legge come quella francese che ha proibito, per i supermercati sopra i 400 metri quadri, di smaltire l’invenduto come rifiuto, i supermercati nostrani non rimangono con le mani in mano. Sono molte le insegne che già donano ad associazioni del territorio le eccedenze alimentari. Fra i più impegnati su questo fronte c’è Auchan, che nel 2014 ha devoluto oltre 500 tonnellate di cibo pari a circa 920 mila pasti. Oltre a donare a gruppi e associazioni del territorio i prodotti che devono essere ritirati dal circuito commerciale, offre direttamente ai consumatori i prodotti in scadenza con un prezzo scontato fino al 50%. Ma anche in quest’ambito c’è spazio per iniziative innovative come la Disco Soup organizzata da Slow Food e Nova Coop a Torino per coinvolgere e sensibilizzare gli under 35. Con le eccedenze alimentari del distributore le due realtà hanno dato vita a una grande cena collettiva e una festa musicale gratuite.

I consumatori al centro Per i consumatori l’umanesimo è già ricominciato da un pezzo. Hanno riscoperto la loro centralità e non intendono lasciarsela scappare: anche la casalinga di Voghera firma appelli su Avaaz, condivide recensioni sull’ultimo paio di scarpe e, diventata tester Garnier, presta la sua consulenza all’azienda sulla nuova linea di creme corpo. Per produttori e distributori quello da marketing a societing è quasi un passaggio obbligato: per vendere è necessario essere credibili. È una nuova natura d’impresa, il prossimo passaggio epocale: da impresa nel territorio, filantropica e sostenibile (rispettosa) a impresa congiunta alla società nella creazione di valore (condivisione). Ma anche impresa non più pressata dalle agende politico-territoriali, in grado invece di anticipare e dettare i ritmi dell’agenda di modernizzazione. Il ritorno alla terra è testimoniato anche dalla persistenza dei gruppi d’acquisto, un fenomeno di nicchia che però non mostra cedimenti. Impossibile ottenere dati di mercato precisi, ma nel 2012 un’analisi Coldiretti/Censis evidenziava come i Gruppi solidali di acquisto intesi nel senso più ampio siano diventati un fenomeno di rilievo che riguarda il 18,6% degli italiani. Quasi 2,7 milioni di persone fanno la spesa con questo sistema in modo regolare per una spesa media di 2.000 euro l’anno. All’interno di un Gas collaborano generalmente 25-30 famiglie: le strutture sono sempre più organizzate e il prossimo passo sarà la transizione da Gruppi di acquisto a Distretti di economia solidale, per saldare ancora più strettamente produttori e consumatori.

 

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