Il linguaggio segreto della moda e del lusso

ECONOMIA & ANALISI – Lo decifra la Fashion Semiology, indicando a stilisti e designer i segni adeguati per sollecitare i desideri di possesso (da MARKUP 216)

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La moda e il lusso comunicano sempre qualcosa.
Possono essere usati come
simboli (ad esempio gli accessori
dorati o un corpino in lamè possono
essere simboli di ricchezza,
un tubino nero di eleganza, un
paio di sandali altissimi e particolari
di eccentricità e trasgressione),
come icone (un travestimento
è icona di ciò a cui si vuol assomigliare:
se a carnevale mi maschero
da gatto, il mio abbigliamento
diviene icona del gatto) o
come indici (indosso calze spaiate,
e ciò a meno che non rappresenti
una scelta stilistica da parte
di chi li indossa è indice che sono sbadato).
Come scriveva Barthes nel 1967,
"Il vestito dà senso al corpo e
quindi lo fa esistere: lo valorizza
dandolo a vedere. Il vestito non
nasconde né mostra, allude e valorizza:
non esibisce ma semantizza".
(Barthes, 1967). In parole
povere, quando decidiamo di indossare
una giacca o un pantalone,
non ci stiamo solo proteggendo
dal freddo, ma soprattutto
stiamo comunicando. "L'abbigliamento
'parla'. Parla il fatto che
io mi presenti alla mattina in ufficio
con una regolare cravatta a
righe, parla il fatto che improvvisamente
io la sostituisca con una cravatta psichedelica, parla
il fatto che io vada alla riunione
del consiglio di amministrazione
senza cravatta".

Elementi e sfumature
Il dizionario De Mauro indica
che la denotazione è un "significato
oggettivo di un'entità lessicale,
che non contiene alcun elemento
soggettivo o affettivo determinato
dal contesto", mentre la connotazione è quella "sfumatura
linguistica di ordine soggettivo
che un termine o un enunciato
hanno o acquisiscono in aggiunta
al significato di base". In altre
parole, il termine madre è denotativo,
il termine mamma, pur
con lo stesso significato è connotativo,
in quanto suggerisce una
sfumatura affettiva che in madre
non c'è. Insomma, la denotazione
ha una valenza referenziale, rap-presenta la realtà, senza aggiungere
sfumature soggettive o affettive
o di giudizio morale. La connotazione
si rifà invece alla funzione
emotiva e cerca di far scattare
l'aspetto emozionale del prodotto
accostandolo a esempi visivi
che provochino emozioni per
riuscire con maggior facilità a
vincere il vaglio critico del destinatario,
giungendo con il messaggio
direttamente al "cuore".

La testimonianza
Nella moda, la connotazione è,
evidentemente, imperante. Noi
non compriamo abiti, ma "bellezza,
sensualità, raffinatezza".
Eppure come si può accostare la
connotazione di "sensualità" a un
vestito (ovvero quanto serve a vestire,
cioè a coprire la persona, limitatamente
ai capi di vestiario
esterni) che per sua natura è un
elemento denotativo? Un valido
metodo è per esempio ricorrere alla
figura del testimonial. Scegliere
un modello noto in quanto icona
di bellezza, sesso e seduzione quale
è riconosciuto David Gandy, significa
trasferire la sua "aura" sugli
abiti con cui sfila. Quando un uomo
deciderà di comprare un capo
di Dolce e Gabbana o di Massimo
Dutti, in realtà, anche se in modo
inconscio, starà acquistando l'illusione
di essere un po' come il modello
che lo indossa in passerella,
ovvero vorrà comprare un po' della
connotazione di sensualità e fascino
maschile che David Gandy
ha "trasferito" sull'abito griffato. E
così, per la proprietà transitiva, indossando
quell'abito, l'acquirente
diventerà egli stesso un testimonial
del brand Dolce e Gabbana
o di Massimo Dutti, solo che, diversamente
da quanto è accaduto
al modello, sarà lui a irrorarsi
dell'aura connotativa contenuta
idealmente nell'abito indossato.
Insomma, quando un individuo
indossa un capo firmato diventa
testimonial del brand. È come se
il contesto urbano in cui si muove
fosse una gigantesca passerella,
o meglio un'estensione (reale)
socialmediatica dove le connessioni
interpersonali si mischiano
con quelle dei social network, delle
videochiamate e di tutte le altre
possibili relazioni. E in questo modo,
attraverso i meccanismi di una
sorta di viral marketing, il corpo
dell'acquirente diviene una cellula
di un grande, organico e vivente
mezzo di comunicazione di massa,
formato da tutti gli acquirenti
nel mondo, a uso e beneficio dei
grandi marchi.

Segni e codici
La connotazione di "sensualità
e fascino" contenute nel modello,
passano all'indumento e da lì
vengono trasferite all'acquirente
che andando in giro per il mondo
con il suo capo di moda, diviene
un inconsapevole "brand ambassador".
Ogni testo comunicativo ha determinate
funzioni che indicano
lo scopo per cui si compie quella
particolare comunicazione.
Anche il capo di moda è un testo,
che nell'accezione semiotica,
è "una serie coerente ed ordinata
di enunciati, tra due interruzioni
marcate della comunicazione".
In altre parole, il capo di moda
è un macrosegno formato da
una serie di segni tra loro interlacciati,
che si organizzano in un
codice (quello del fashion). Tale
testo inizia nel momento in cui
il destinatario comincia ad osservarlo,
e finisce quando non lo
guarda più. Quello che si crea è
un flusso comunicativo tra emittente
(che propone l'abito) e destinatario.
I segni sono entità bifacciali
composte da significato e
significante, ovvero da una idea e
dalla manifestazione sensibile di
quell'idea. Se voglio dare idea di
raffinatezza, indosso un abito Armani,
che è icona di eleganza. Se
intendo comunicare originalità e
trasgressione, indosso un capo di
Dolce e Gabbana, icona (quindi
segno) di tali caratteristiche.

Le ispirazioni
Gran parte delle collezioni di moda
si ispirano a film o personaggi
famosi della fantasia, come ad
esempio il brand Fix Design si è
ispirato ad Alice nel paese delle
meraviglie per la collezione autunno
inverno 2010/2011, così come
Furla e Accessorize. Lo stilista
Masaya Kuroki, della casa di moda
Kitsuné ha disegnato la collezione
inverno 2011 tenendo presente
il look dei cowboy gay Ennis
Del Mar e Jack Twist protagonisti
del film Brokeback Mountain.
La collezione dei costumi uomo
Calzedonia si ispira a film cult del
cinema americano anni 50 e 60,
La grande fuga e Fronte del porto
danno il nome alle due linee della
collezione estate 2011: The great
escape e On the water front, incarnando
l'ideale di uomo bello
e dannato.
Queste scelte tengono conto del
desiderio di immedesimazione
degli individui in personaggi particolarmente
intensi, attraverso
l'uso di un abbigliamento che ne
evochi le caratteristiche. Ma tale
intensità non è data altro che dal
ruolo archetipico che tali personaggi
incarnano.

Allegati

216_Linguaggio_del_Lusso

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