Il miracolo americano si crea con costanza e parsimonia

Strategia alla base del giusto approccio per proiettare i brand italiani sul mercato statunitense. A colloquio con Lorenzo Zurino (da Mark Up n.278)

Crescere nel mercato statunitense, che ha grandi potenzialità per il food made in Italy, non è semplice, sia per le aziende già presenti, sia per quelle interessate ad arrivarci. Per questo è necessario affidarsi a una solida consulenza che sappia affiancare il management nelle decisioni importanti da prendere. Tra i numerosi esempi possibili citiamo Fattorie Osella, che nel 2018 ha ottenuto un +21% rispetto all’anno prima, Caffè Motta un +4%, D’Amico, che è ora presente nel Midwest e nella East Coast, area in cui è arrivato con ottimi risultati Riso di Sardegna, mentre Muscas, che con il brand Posardi ed il suo pomodoro era completamente assente in Usa, ad oggi distribuisce in 29 Stati e grazie alla The One è riuscita a movimentare più di 10 container in poco più di un anno. Ma c’è anche Acqua Minerale San Benedetto, che è arrivata nei supermercati del Midwest.

Se i prodotti stessi sono la base imprescindibile, il valore aggiunto è il lavoro di The One Company, la società che Lorenzo Zurino ha fondato meno di 10 anni fa, specializzata sul mercato statunitense e con un portfolio di aziende che valgono in Italia più di 3 miliardi di euro. “Ma mi dà grande soddisfazione anche aver venduto 2.000 caponatine con pomodoro di Pachino di Vittoria tra i grattacieli di Manhattan”, sottolinea il Ceo. Zurino, 34 anni, originario di Sorrento, nel suo curriculum vanta durante gli scorsi anni la dirigenza del dipartimento Internazionale del Gruppo VéGé e una collaborazione di prestigio con Bper Banca. Attualmente dirige il dipartimento di importazioni di Nastasi Foods, acquisita dal fondo Kauffman Holdings Dba.

C’è una formula corretta per approcciare il mercato statunitense?

Evitare promesse irrealizzabili. La nostra forza sta nel dire tutto immediatamente, sia nei lati positivi che negativi. Io non sono il consulente che dice che farà movimentare 300-500 container perché gli Usa sono grandi e ricettivi. Io faccio riflettere invece sulla storia societaria, su quanto ci sia voluto in termini di tempo per affermarsi in Italia, dove ci sono circa 60 milioni di abitanti, e propongo di pensare a un centro di ricavo nuovo, per esempio negli Stati che seguo (il “Tri State” New York, New Jersey e Connecticut), che hanno un bacino simile. C’è però bisogno di tempo e di bravura: il singolo pallet dell’inizio, se si è bravi si porta a due e poi a tre e quattro, e la nostra consulenza porta quel pallet a diventare continuativo e a generare un nuovo centro di ricavo per l’azienda. Il miracolo americano si può realizzare, ma con costanza e parsimonia.

Come è nata The One Company?

Ho deciso di aprirla all’età di 23 anni e all’epoca il mio commercialista mi disse che sarebbe stato un bene chiamarla “la prima” in modo che mi potesse portare fortuna. Così è nata “The One Company”, da una sorta di errore grammaticale è stata fondata la Srl, a Sorrento, che poi ho trasferito a Milano nel 2015 in concomitanza con l’incarico ottenuto da VéGé per la gestione del Dipartimento Internazionale. In questi anni ho lavorato negli Stati Uniti cercando di vendere il cibo italiano, andando oltre le ricerche di mercato standardizzate, che pure sono importanti da valutare, ma che ormai sono concetti superati. Io mi limito a vendere e se il prodotto mi piace, nell’arco di sei e sette mesi di studio e di valutazione, piazzo il primo ordine che cerco di fare diventare continuativo e in crescita.

Che consulenza fornite?

Innanzitutto facciamo un’analisi del prodotto sul mercato statunitense, se presente, dove e come è distribuito, poi concordiamo con la proprietà o la dirigenza la nostra idea di distribuzione finché non è condivisa dall’azienda, e alla fine ci muoviamo con l’approccio dei distributori di riferimento, organizziamo la logistica e facciamo in modo che la domanda sia continua.

Quanto è importante la comunicazione per il successo nell’export?

Io non credo agli investimenti propedeutici all’ingresso sul mercato se dietro non c’è un importatore che fa sì che quel prodotto sia poi realmente presente. È inutile fare prove muscolari senza una struttura distributiva alle spalle, serve a poco investire 50mila euro in una fiera come il Fancy Food se poi non si ha il prodotto disponibile da distribuire a scaffale e nei ristoranti. Noi lavoriamo a stretto contatto con l’azienda per farla sbarcare sul mercato americano, poi è necessario investire in marketing e comunicazione, perché il prodotto deve essere supportato e ciò evita che vi sia una stagnazione. Inoltre, chi lavora con me sa bene che deve venire negli Usa almeno due volte l’anno e metterci la faccia.

Come si evoluto il ruolo consulenziale della sua società?

A giugno 2018 siamo stati scelti dal grande fondo Kauffman Holdings Dba per la gestione del dipartimento di importazione del nuovo acquisto Nastasi Foods. Mentre prima il prodotto lo presentavo a un panel di distributori che conoscevo, ora il prodotto lo compro direttamente come Kauffman e lo inserisco nel mercato statunitense. Fermo restando il lavoro continuo e importante che faccio con altri importatori/distributori in altri Stati. Proprio in queste ore ho ricevuto il primo ordine da Houston in Texas. Quindi un nuovo Stato entra a far parte della famiglia The One Company. Un altro importante passaggio che ha rappresentato un boost anche mediatico per la mia società è stato l’accordo quadro nazionale con Bper, il sesto gruppo bancario in Italia, con il quale stiamo facendo un roadshow in giro per le regioni alla ricerca di prodotti eccellenti, che possano arrivare con successo sul mercato statunitense.

Ci sono trend che sono emersi nel mercato americano?

Biologico ed healthy food. Sempre più consumatori sono alla ricerca di alimenti funzionali. Per fare un esempio: l’azienda il Melograno, che è stata una recente scoperta, produce estratti di frutta che vanno proprio in questa direzione.

Cosa vede nel futuro di The One Company?

Sono alla ricerca di piccole e medie imprese italiane, con un fatturato annuo attorno ai 5-10 milioni di euro, con prodotti di grande qualità e un rapporto prezzo prestazioni elevato, in grado di soddisfare il palato dei consumatori americani, molto sofisticato in alcune aree, pensiamo a Manhattan, in cui sono presenti differenti cucine e il successo si raggiunge solo con prodotti eccellenti ed autentici, -non per il produttore- ma per il consumatore.

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