Industria e distribuzione: un conflitto non solo privato

I MERCATI – Per quasi un trentennio, prima che la crisi li ponesse in secondo piano, sui rapporti industria e distribuzione sono stati versati fiumi di inchiostro(da MARKUP 216).

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Nella relazione di Luigi Bordoni all'assemblea di Centro Marca che l'ha rieletto presidente a giugno 2012, i rapporti con le controparti distributive erano, più o meno centrali ma i contenuti, riflettendo l'evoluzione dei rapporti di forza fra le due controparti, erano radicalmente cambiati rispetto al passato.
Se si ricostruisce il senso del cambiamento intervenuto, si potrebbero distinguere tre fasi.

1: Brand retail engine
Nella prima i rapporti erano caratterizzati dalla corsa della distribuzione moderna alle migliori condizioni di acquisto dei prodotti di marca, motore delle vendite, con la cosiddetta gd, forte del canale corto, in pole position rispetto al commercio associato (o Do) che non aveva ancora costruito i suoi pilastri Coop e Conad. Le industrie di marca erano, invece, impegnate a spostare il confronto dal nascente conflitto alla collaborazione sui grandi sistemi, frutto delle strategie internazionali del Food Marketing Institut. È la fase in cui, in un contesto negoziale molto sperequato, si "comprano" a caro prezzo i buyer che portano i contratti migliori.

2: Supercentrali
Il sistema moderno, diventato il collo di bottiglia del mercato, avvia la seconda fase dei rapporti di collaborazione/conflitto, inaugurando le supercentrali che, attraverso un caotico avvicendarsi di alleanze e scissioni, azzerano le barriere di ingresso qualitative e dimensionali fra insegne e quadruplicano i livelli di negoziazione. Si creano due diversi regimi, più selettivo e strutturato quello con i succursalisti, più aperto alla collaborazione e mercantile quello con il commercio associato. I prodotti di marca restano i player in un mercato che nel complesso rallenta la sua crescita, ma non nel segmento moderno che assorbe le quote del tradizionale. Aumenta così il peso del sistema in cui le grandi superfici introducono nuovi posizionamenti, ma non nuove marche, prodotti e consumi. I prodotti a marchio restano marginali anche a causa della frammentarietà del modern trade.

3: Crisi e private label
La terza fase prende corpo con la prima caduta dei consumi del 2008. Tutti i format puntano sui freschi e la contrazione dei redditi favorisce lo sviluppo dei prodotti a marchio che si avvicinano rapidamente alla soglia del 20%. La distribuzione moderna protegge così il suo giro d'affari, mentre l'industria di marca tenta di restare competitiva adeguando i suoi prezzi, ma innesca un circolo vizioso, fatto di: meno vendite, più promozioni; meno pubblicità e più prodotti a marchio. Ma questo non ferma la caduta delle sue quote. Su tutto incombe la reazione nervosa della distribuzione poco propensa a pagare nei tempi previsti dalla legge.
Tutte le ricerche e le principali insegne europee, analizzando i dati delle vendite e i comportamenti dei clienti/consumatori, affermano che questi, anche quando non debbono, vogliono risparmiare sugli acquisti dei beni di largo consumo, ma senza rinunciare alla qualità. Allora come corrispondere a queste attese senza percorrere le strade della ricerca e dell'innovazione che portano all'abbattimento delle barriere tra cibo e farmaco e tra nutrizione e salute?
Questo è un nodo centrale che non si può ignorare. Anche considerando i prodotti a marchio, come un sistema autonomo e organico, comunque non posseggono gli asset industriali e culturali specifici per garantire qualità e innovazione dei processi di produzione ed evitare il decadimento della filiera alimentare.

Allegati

216_Fatelli_Industria_Distribuzione

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