Italiani.Coop “racconterà il nostro paese con i numeri”

Italiani.Coop è il nuovo strumento di ricerca e analisi creato e curato dall'ufficio studi Coop, che presenta diversi approfondimenti statistici sulla situazione socio-economica del nostro paese. "Italiani.Coop racconta il nostro paese attraverso numeri e mappe -spiega Albino Russo, direttore generale Ancc-Coop- è uno strumento facile da usare e alla portata di tutti. Vuole narrare e descrivere come sono fatti gli italiani e cosa vogliono oggi e domani. Parleremo dunque di italiani, non di business o di retail".
Fra i database che contribuiscono ad alimentare il nuovo portale spicca "Comuni d'Italia", realizzato dall'ufficio studi Coop con il supporto scientifico di Ref Ricerche, che permetterà di conoscere le condizioni socio-economiche dei territori italiani, con classifiche e confronti tra comuni.
Fra i dati presentati oggi segnaliamo, innanzitutto, le variabili che riguardano i consumi alimentari pro capite annui e il dato sulla popolazione per fascia di età con particolare focus sulla quota dei Millennials.
Partiamo dai consumi pro capite. Anche in questa voce si nota la notevole varietà del paese, con punte massime di 3.500 euro annui di Campione d'Italia alla bottom line di Dambei in Trentino con 1.273 euro. L'Appennino fa da spartiacque tra una dorsale tirrenica dove i consumi alimentari registrano quote superiori ai 2.200 euro annui, e le regioni adriatiche che figurano in coda alla classifica, con il Molise fanalino di coda, le Marche che viaggiano a mezza classifica (13ma posizione), la Puglia al 15° posto, l'Abruzzo al 17° e la Basilicata 18ma.
Il confronto Roma-Milano vede vincitrice la Capitale con 3.275 euro rispetto ai 2.029 spesi dai consumatori meneghini. L'unico capoluogo di provincia tra i primi dieci è Pavia (2.865 euro).

I Millennials si concentrano a Platì, mentre il comune "old" per eccellenza in Italia è Ribordone nel Torinese dove la quota di giovani cala a picco al 5,7%. In questo caso la spaccatura è tra Nord e Sud, con un blocco nord-ovest caratterizzato da bassa incidenza di giovanissimi. Ma non è tutto così semplice: perché nel Nord troviamo regioni giovani come il Trentino con Campania, Sicilia, Puglia e Calabria che seguono immediatamente.
Milano e Roma sono appaiate, entrambe con incidenze del 33,3%.

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Originale e interessante (assai più coinvolgente delle statistiche sui consumi pro capite) lo speciale Un secolo di italiani, che visualizza in modo immediato e vivace la "timeline" della nostra popolazione dal 1901 al 2015: a inizio secolo scorso eravamo 34 milioni, il 62% della popolazione era fatto di contadini, 1 italiano su 2 era analfabeta, e 3 famiglie su 10 erano composte da 6 o più persone. Oggi siamo quasi 61 milioni, il nucleo familiare medio è 2 virgola qualcosa, siamo in decrescita demografica grave (-130.000 rispetto al 2014, il primo anno in cui la popolazione non aumenta), e siamo pure fra i più longevi al mondo.
Nel 1861, il 98% degli italiani parlava dialetto in famiglia, ma ancora oggi a 155 anni dall'Unità d'Italia, a più di 90 anni dall'avvento della radio e a oltre 60 dalla nascita della televisione -che, lo ricordiamo, ha fatto la vera Unità d'Italia, funzione di sottovalutata importanza- 1 italiano su 10 usa il dialetto soprattutto in famiglia e 2 su 100 anche con gli estranei. C'è dunque un ritorno del dialetto, a nostro avviso fenomeno positivo purché in una società già acculturata (cioè parlante anche la lingua nazionale), che assume, forse per la prima volta, una connotazione identitaria, non necessariamente antiunitaria.
Un'altra tendenza identitaria a livello locale si riassume nel cibo: gli italiani preferiscono alimenti e piatti locali (30%) a quelli globali (18%) perché, secondo Coop, hanno più fiducia nei prodotti del territorio e sperano nelle ricadute benefiche sui luoghi originali di produzione.
Rimaniamo italiani solo nelle grandi occasioni, positive e negative: quando gioca la Nazionale di calcio (oltre 21 milioni di spettatori complessivi per l’ultima partita dei campionati europei, persa ai rigori contro la Germania), quando c'è da rivendicare qualche primato di eccellenza come i 20 Premi Nobel (ma l'Italia ne prende sempre meno), i 4 Mondiali di calcio vinti, i 22 Premi Oscar.

La lunga metamorfosi degli italiani
Sfogliando anche velocemente le pagine più significative del secolo passato, il Novecento, balza agli occhi la metamorfosi dell’italiano medio che, da povero, sottonutrito, analfabeta e contadino (nel 1901 la spesa annua pro capite era pari a 1.600 euro annuali, 140 euro mensili, un decimo dei consumi di oggi) ha raggiunto soprattutto dopo la seconda guerra mondiale un livello di benessere e agiatezza compromesso poi con la grande crisi del 2008-2009 che dura tuttora.
Se negli anni Sessanta il livello dei consumi era sotto i 5.000 euro annui (417 euro al mese a persona), la crescita è stata costante toccando i 10.000 euro del 1979 (833 euro al mese), superando 17.000 euro nel 2010 (1.417 euro al mese) per poi scendere a 15.700 euro del 2015 (1.308 euro al mese) complice la grande depressione scoppiata nel 2008.

Da sottonutriti a obesi o sovrappeso
Come sempre, purtroppo, quello che distingue l'evoluzione e il miglioramento dello stile di vita degli italiani ha a che fare non con la cultura e la crescita intellettuale, ma con il cibo e i regimi alimentari. Se negli anni Trenta era ancora sottonutrito un terzo degli italiani, oggi il 59% della popolazione è sovrappeso e il 21% è considerato obeso dall'Oms (ma siamo in buona compagnia con altre economie avanzate, Usa in primis, che sono messe peggio di noi).
Forse è anche per questo (ma non è certamente solo per questo) che negli anni Duemila le parole chiave dell'alimentazione sono salute, benessere, freschezza, naturalità, rispetto dell'ambiente. Nel 2015 il 13% degli italiani affermava di consumare abitualmente prodotti vegan,  il 49% già immaginava che i propri consumi sarebbero cambiati in quella direzione nei decenni successivi.

Più agiati, più vecchi, più egoisti
L’identikit dell’italiano 2016 sembra positivo e rassicurante (sembra): una vita più lunga (in 100 anni è raddoppiata la durata media), più solitaria, in abitazioni più grandi (4 stanze per due persone a fronte delle 4 stanze x 6 di inizio secolo), preferibilmente fuori dai centri abitati, con proprietà dell'abitazione per 7 su 10. Ma l'italiano ha smesso di fare figli (in 100 anni il tasso di natalità è diventato meno di un terzo di quello del 1901), sul lavoro, quando c'è il lavoro, è più insoddisfatto dei colleghi europei (in media il gap è di 10 punti che salgono a 20 quando si parla di ambiente lavorativo).  Insoddisfatti ma condannati: a proposito di lavoro, l’automazione dell’industria 4.0 ci rende più esposti alla perdita del posto: ad alto rischio il 9,6% della popolazione, ma peggio di noi sono l’Austria, la Spagna, i Paesi dell’Est e persino Germania e Inghilterra.

I rapporti coniugali sono un altro punto critico. Dal 2011, a distanza di 37 anni dallo storico referendum, la quota dei divorziati, stabile sull’1% della popolazione fino al 2001, culmina nel 2011 con il 7,8% che unito al dato dei separati legalmente (2,3%) certifica che 1 italiano su 10 ha alle spalle una relazione fallita.

L’Europeismo tradito degli italiani
Coop ricorda che agli inizi del secolo, e fino al secondo dopoguerra, l’Europa era vista come una terra promessa, la nostra vera America, tanto che le destinazioni prevalenti dei nostri nonni o bisnonni erano Francia e Svizzera (complessivamente 3,5 milioni e 3,3 a fronte dei 2,2 in rotta verso gli States) e a seguire la Germania.
Nel secondo dopoguerra gli italiani sono fra i più convinti sostenitori di un’Europa unita: nel 1952, anno di nascita della Ceca (la Comunità europea del carbone e dell'acciaio), il 57% degli italiani considerava l’adesione positiva e/o molto positiva: questa posizione non cambia, anzi si rafforza fino a toccare nel 1974 l’82%, il dato più alto in Europa. Ancora negli anni Novanta del Novecento, dopo il crollo del muro di Berlino (1989) i favorevoli all’integrazione europea sono l’86% contro il 70% dei francesi e il 65% dei tedeschi.
Diventiamo più tiepidi alla nascita vera e propria dell’Ue, nel 1992: alla domanda "appartenere all’Unione ha portato benefici?" risponde sì solo il 54% degli italiani (49% dei francesi e 47% dei tedeschi). La moneta unica, ma soprattutto l’impatto della grande depressione iniziata nel 2008-2009, sono stati punti di svolta nel rapporto tra italiani ed Europa: nel 2008 l’indice di gradimento scende per la prima volta sotto il 50% per poi progressivamente diminuire fino al 34% di favorevoli nel 2014, con un timido recupero nel 2015 (38%).
Abbastanza simili le reazioni di francesi e tedeschi che comunque partivano, negli anni Settanta, da aspirazioni più modeste, mentre alla Gran Bretagna l’Europa è sempre stata stretta, a tal punto che gli inglesi si dichiarano più entusiasti negli anni Cinquanta e Sessanta, che non dopo il loro ingresso ufficiale nel ’73. (Obiettivamente, e detto en passant, a chi non manca un pochino lo spirito vitale che si respirava in Italia fra gli anni Cinquanta e Sessanta?).

Nel 2065 ritorneremo ai livelli del 1968
Nel 2015, la popolazione italiana ha perso 130.000 residenti: è la prima volta che si verifica un calo così consistente. Secondo Coop, che si basa su fonti statistiche ufficiali e affidabili (Istat, per esempio), nel 2065 saremo 53 milioni, esattamente quanti eravamo nel 1968. È come se la demografia facesse un salto indietro di 97 anni. In compenso vivremo di più, le donne supereranno i 90 anni di età e gli uomini 87, solo il 13% della popolazione sarà composta da under 14.

Italiani meno ambiziosi (ma sarà vero?) e pecuniari
Un dato invece sorprendente di questo studio Coop riguarda la scala valoriale sulle aspettative del futuro: gli italiani mettono al primo posto la salute (e fin qui nulla di strano), ma si mostrano meno interessati a guadagnare, a studiare o a diventare famosi: preferiscono avere bambini.
Fare soldi infatti nella scala valoriale italiana perde 8 punti (dal 25% media europea al 17% dato italiano), studiare -4 (dall’11% media europea al 7% dato italiano), essere famosi scala di 1 punto (è comunque in basso nella classifica europea ma scende all’ultimo posto in quella italiana) mentre il desiderio di avere figli guadagna 5 punti (dall’11% media europea al 16% dato italiano).

 

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