La bellezza come strumento di crescita

IN PRIMO PIANO – Da elemento socio-culturale ad asset sul quale il Paese può imbastire una crescita sia d'identità sia produttiva (da MARKUP 216)

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"Continuate a sfruttare i vostri tesori. Donate un po' della vostra bellezza al mondo", così Philip Kotler ha ammonito gli italiani durante il World Business Forum 2012 di Milano, asserendo che le imprese hanno dimenticato il marketing puntando sulla quantità a discapito della qualità. Il guru americano non si è risparmiato e ha puntato il dito sulle difficoltà del nostro Paese nel saper cogliere la "naturale evoluzione del marketing 3.0 al tempo dei social network", dove i brand sono focalizzati sul benessere dei consumatori e della società. "Il nostro mondo ha sempre più bisogno di bellezza e l'Italia deve offrirne un po' della sua". Parole chiare e precise, quelle di Kotler, che invitano l'universo delle aziende nostrane a puntare sull'arte, sulla cultura, sulla bellezza affinché i valori di cui siamo portatori non finiscano nel nulla. Del resto la bellezza può essere considerata uno strumento di crescita socio-culturale ed economica del nostro Paese. Un punto dal quale l'Italia può ripartire, un elemento non solo estetico bensì dalla forte valenza economica e portatore di forza rigeneratrice. Non siamo, però, di fronte a un concetto nuovo. Filiberto Tartaglia, docente di marketing all'Università di Ferrara, nel suo libro "L'estetica del terziario. Bellezza, benessere e felicità della vita come fondamenti del marketing ritrovato", aveva già gettato le basi per un nuovo paradigma capace di descrivere e decodificare le nuove forme di valore per il consumatore. Tartaglia afferma che se tutti gli attori economici praticassero una convinta mobilitazione estetica si potrebbe praticare un marketing in linea con l'idea che la bellezza sia la forma più compiuta del valore economico e sociale. Una tesi che trova spiegazione anche in una ricerca condotta dal Censis per Fondazione Marilena Ferrari (fonte dei dati presenti in questo articolo) che mette in luce le potenzialità della bellezza in qualità di strumento capace di trasformare il Paese.

Un asset economico
Parlando di bellezza è senso comune pensare al significato più universale del termine ovvero l'insieme delle qualità percepite tramite i cinque sensi che suscitano sensazioni piacevoli. Astraendoci da questo concetto base, la bellezza può essere interpretata come un asset economico tanto che per il 41,3% degli italiani può essere il punto di partenza dal quale far ripartire il Paese. Una forza identitaria della nazione che non può essere messa nel cassetto, ma che deve, al contrario, essere rispolverata a partire dal business turistico, ma non solo. La bellezza dà, infatti, un apporto a un gran numero di settori quali, per esempio, abbigliamento, alimentare, legno e mobili ecc. caratterizzandosi come il cuneo delle esportazioni, come una delle molle dell'economia e, perché no, come la spinta di una parte dei consumi. Ma procediamo con ordine e, prima di introdurre il valore aggiunto relativo ai singoli settori produttivi, diamo un'indicazione di quanto vale complessivamente la bellezza in Italia. Una risposta proviene dalla ricerca Censis che stima che il bello pesa sulla produzione di ricchezza circa il 5,4% ovvero che ogni anno il valore aggiunto realizzato dalla bellezza è di 74,2 miliardi di euro. Un dato complessivo che naturalmente trova applicazioni diverse a seconda del settore preso in considerazione: vi sono degli ambiti come turismo o abbigliamento dove al concetto del bello può corrispondere un valore alto, oppure settori quali industria pesante o petrolifera dove l'apporto della bellezza è inesistente. In ogni caso la bellezza conferisce un valore, che può essere limitato come nel food dove si registra circa un 5% di significato aggiunto (2,3 miliardi di euro), oppure rilevante come nel tessile, abbigliamento e accessori con un risultato di 6,8 miliardi. E poi vi sono settori, come quello già precedentemente citato dei mobili e arredi, nei quali il peso della bellezza è molto alto e rappresenta il segno di un made in Italy riconosciuto in tutto il mondo e che, nel caso del settore arredamento, da solo raggiunge circa l'1% della ricchezza prodotta in Italia. Ma anche l'industria meccanica dove automobili ed elettrodomestici italiani sono competitivi anche grazie a un design accattivante che in alcuni casi va a riequilibrare una minore competitività registrata nei costi o in ambito tecnologico. Primo su tutti il settore dei beni culturali dove il valore aggiunto raggiunge i 17 miliardi di euro. Del resto in materia di national branding secondo la classifica Country Brand Index 2012-2013 di FutureBrand il nostro Paese, pur in discesa di cinque posizioni nella graduatoria complessiva rispetto a quella dell'anno precedente, si colloca al primo posto per arte, cultura----- e turismo. Asset questi che potrebbero essere declinati nell'export facendo leva sul made in Italy.

Un valore in diminuzione
Nel 2000 il valore aggiunto della bellezza era superiore a quello attuale. In Italia il contributo derivante dal bello totalizzava una percentuale pari a 6,1 impiegando 1.450.000 di persone ovvero il 6,3% degli occupati in quel periodo. Le cose oggi non stanno più così. A distanza di dieci anni la quota di valore aggiunto proveniente dalla bellezza si attesta a 5,4%, dando lavoro a 1.370.000 addetti (5,6%). "L'Italia sta perdendo sempre più la sua capacità di aggredire i mercati internazionali e produrre ricchezza, non solo a favore dei Paesi emergenti come Cina, India e Vietnam, ma anche di Germania, Francia e Stati Uniti. Ciò significa che abbiamo perso la capacità di differenziarci, di far valere il nostro essere italiani. La bellezza è nel nostro Dna e dovremmo riappropriarcene per salvare il Paese". Con queste parole Giulio De Rita, curatore della ricerca Censis, sottolinea come il Belpaese stia arretrando in tema di produzione di bellezza in molti settori i quali dovrebbero, invece, sfruttare il patrimonio presente sul territorio e la considerazione internazionale di cui gode l'Italia. E così, dati alla mano, la bellezza sta diventando meno incisiva sul piano industriale in molti comparti dove originariamente era da ritenersi uno degli elementi fondamentali. Un made in Italy sbiadito che rischia di lasciare il passo ad altri Paesi. Forse l'Italia dovrebbe abbandonare la miopia tipica del nostro Paese nel valutare o meglio sottovalutare la valenza economica della bellezza e cominciare a ragionare sul patrimonio culturale e sulle ricadute economiche nei settori produttivi. Parola anche di Kotler.

Allegati

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