La Data economy e il futuro delle persone

Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n. 275)

Dove ci porterà la Data economy? È questa la domanda alla quale dovremo dare risposta in futuro. Il 2018 è stato senza dubbio l’anno dei dati: non solo per l’entrata in vigore del Regolamento Ue 2016/679 (meglio noto come Gdpr, General Data Protection Regulation), ma anche per i molti scandali che hanno punteggiato le cronache, da Cambridge Analytica in poi. Secondo il rapporto Breach Level Index 2018 di Gemalto, nel primo semestre del 2018 sarebbero stati compromessi oltre 4,5 miliardi di dati (con un salto del 133% sullo scorso anno). In questo contesto, i dati corrono il rischio di essere criminalizzati e lo stesso consumatore sta vivendo con atavico terrore qualsiasi tipo di richiesta di informazioni, quasi fosse costantemente in pericolo la riservatezza di ciascuno. Eppure, i dati sono la risorsa del futuro: non solo per l’economia digitale, ma per lo sviluppo stesso della nostra stessa società. A condizione che siano prestati, gestiti e utilizzati con intelligenza. Ecco, intelligenza mi sembra la parola chiave: noi stessi dell’Unione Nazionale Consumatori l’abbiamo messa al centro della riflessione proposta in occasione del nostro evento annuale, il Premio Vincenzo Dona (che si è svolto a novembre a Roma) cercando di riflettere sulla utilità dei dati nella nostra società, senza dimenticare ovviamente tutte le necessarie attenzioni che devono ispirare il rapporto tra imprese e consumatori. Sempre più spesso si parla di intelligenza artificiale: secondo molti, si tratterebbe della tecnologia che, più di tutte le altre, impatterà sul rapporto di consumo. Per convincersene, basterebbe osservare quanto già accade nel settore delle telecomunicazioni (con i chatbot per la customer care), in quello bancario (con i sistemi automatizzati di intelligence e prevenzione delle frodi) e anche quello del retail (con i consulenti per lo shopping e i sistemi di raccomandazione che suggeriscono all’utente i nuovi prodotti da acquistare). Perché il tema è centrale per i consumatori? Perché il carburante dell’intelligenza artificiale è proprio quell’enorme mole di informazioni che noi stessi mettiamo a disposizione delle piattaforme e che, raccolte tutte insieme (big data), rappresentano una risorsa preziosissima: secondo un rapporto EU Data Market Study, il valore della Data Economy in Italia è stimato in 28 miliardi di euro. Ma tutto ciò ha un prezzo! È noto, infatti, come le aziende siano ormai disposte a cedere i propri servizi gratuitamente in cambio dell’autorizzazione allo sfruttamento dei dati personali. Questi sono divenuti essenziali per la crescita economica, l’offerta di servizi innovativi, la creazione di posti di lavoro e il progresso, ma il loro uso può comportare anche potenziali rischi per i consumatori. Basterebbe un esempio. Si pensi alla addressable tv: in Europa sono già 44 milioni le smart tv abilitate a ricevere pubblicità mirata sulla base dei gusti e delle preferenze degli utenti e le previsioni dicono che sarà così un terzo della pubblicità totale nelle trasmissioni audiovisive entro il 2022. C’è un allarme per la privacy? Indubbiamente le tecnologie basate su algoritmi e analisi dei comportamenti possono condizionare le nostre scelte molto più di quanto non accadeva in passato. Ma non dobbiamo farci irretire: si tratta di affrontare le sfide della cosiddetta data science con competenza e senso di responsabilità. Ecco perché, come auspicato dalla Commissione europea nella sua Comunicazione dell’aprile scorso “L’intelligenza artificiale per l’Europa”, è giusto pensarci fin da subito: imprese, da un lato, rappresentanti dei consumatori dall’altro; siamo chiamati a dar corpo a un approccio ai dati (e all’Ai) che veda, tra i suoi pilastri, il commitment a garantire “un quadro etico e legale appropriato”. Non è una sfida da poco, c’è in gioco non solo il futuro dei consumi, ma anche quello delle persone!

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