L’abbigliamento lascia scoperte le zone di vicinato e prossimità

Moda e formati – Grandi magazzini e family store devono recuperare il ruolo di destination.

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1. Dispersione acquisti

2. Assenza di brand nazionali nel neighbourhood

3. Low cost di qualità

Non si può impostare alcun discorso costruttivo sui formati e i posizionamenti nel mercato retail del tessile/abbigliamento senza partire da una considerazione fondamentale - e difficilmente eccepibile, anche se apparentemente banale - che riporta ai comportamenti d’acquisto nel tessile/abbigliamento: comportamenti sempre più dominati e regolati - per entrambi i sessi, ma con prevalenza per l’uomo - dalla categoria decisionale della dispersione. Per rendersene conto, basta fare un esercizio molto semplice: guardate il vostro guardaroba e ripensate a dove avete acquistato i capi e gli accessori che usate; molti di voi si accorgeranno che tutto quello che avete indosso from toe to hat come direbbero gli inglesi viene da almeno una decina di punti di vendita o di approvvigionamento diversi (è un invito che vale soprattutto per gli uomini, perché le abitudini d’acquisto nell’abbigliamento femminile richiederebbero un discorso a parte). Ben diverso il discorso per l’alimentare dove la spesa, soprattutto nei beni di largo consumo confezionati, non freschi, è ancora - anche se con margini di flessibilità sempre più ampi - determinata dal criterio-guida riassumibile nell’espressione inglese everything under the same roof, esigenza madre di tutte le moderne tipologie self-service, dall’ipermercato e supermercato al superstore fino al discount. Nell’abbigliamento non è così. Almeno per due ragioni: la prima consiste nella forte specializzazione storica del dettaglio tradizionale, che ha mantenuto divise a livello retail le principali categorie merceologiche del tessile-abbigliamento. La seconda ragione riguarda la prevalenza del mix di canali negli acquisti determinato - per necessità più che per scelta - dall’esigenza di mantenere un compromesso tra qualità e contenuto di moda da un lato e prezzo/convenienza dall’altro. In altre parole, si tende ad acquistare abbigliamento e accessori non in un solo punto di vendita, ma si distribuisce l’acquisto su più insegne/tipologie, secondo criteri tutt’altro che meccanicistici, nei quali gusto, moda, qualità ed esigenze di portafoglio - a loro volta determinati dal target e dalla classe socio-economica degli individui - motivano, a seconda delle dosi di ciascuna spinta all’acquisto, la scelta dei canali di approvvigionamento. In questo senso, il consumatore è veramente erratico, ben più infedele di quando fa la spesa alimentare, e può spaziare dal sarto a Oviesse, dal negozio specializzato monomarca all’ambulante, dal grande magazzino al vintage store mantenendo una perfetta (o quasi) linearità in termini, di look e gusto. La destrutturazione a valle negli acquisti (cioè sul versante delle scelte dei canali di approvvigionamento) è il riflesso non solo di un preciso assetto storico (l’unico formato veramente destination è il grande magazzino o il multispecialist store), ma di un’abitudine a mixare nelle scelte d’acquisto il low cost con l’high-end, considerando che ormai nell’abbigliamento la marca o la griffe non hanno più valore al di fuori di un buon rapporto qualità/prezzo.

La polarizzazione
dei centri città

Secondo MARK UP le evoluzioni più interessanti dovrebbero però venire dai retailer posizionati sul versante neighbourhood, oggi visibilmente sprovvisto di formati moderni. Grandi magazzini e family store dovranno recuperare quel ruolo destination che era già loro storicamente, valorizzando l’aspetto multitarget, e non deprimendo le private label, chiave di volta per un posizionamento competitivo in termini qualità/prezzo. Il grafico proposto riproduce l’idea dei due precedenti (si veda MARK UP 179, alle pagg. 22-25, e di ottobre 2008, alle pagg. 16-19). Il destination pesa molto più del convenience nelle motivazioni d’acquisto: lo dimostrerebbe il fatto che i retailer più interessanti per attrazione e posizione di mercato siano quasi tutti destination high street e, nel caso dei factory outlet center e delle catene nei centri commerciali, out of town. In altre parole non c’è un forte concetto di vicinato nel tessile-abbigliamento, se non riferito ai punti di vendita tradizionali specializzati, ai family store (come Oviesse). È importante ricordare che la mappa ha un valore indicativo: non può esaurire il mondo del tessile/abbigliamento, ma fornisce una chiave di lettura per così dire universale che permette di visualizzare il posizionamento base di mercato di tutte le insegne e le tipologie di vendita. Con qualche approssimazione, ovvia, ma correggibile con eventuali approfondimenti. Tipologie come multi-specialist (gli ex variety store, come Upim e Ovs) e i family store (C&A) si collocano nel quadrante basic, con tendenza, riscontrabile in alcune insegne come Ovs, a spostarsi verso l’area fashion/trendy. I centri storici delle città come Milano sono diventati uno specchio delle strategie di posizionamento delle insegne, per le quali il fattore di attrazione insito nella posizione immobiliare (il centro è a prova di crisi: attira turisti da tutto il mondo ed è un efficace veicolo pubblicitario) trascende qualunque aspetto connesso al target e al posizionamento di mercato: infatti high-end e low-cost convivono nelle zone centrali, con scelte che si diversificano eventualmente solo in base alla vocazione storica delle singole vie.

Allegati

Moda10-format
di Roberto Pacifico / gennaio 2010

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