L’agricoltura nel motore del food

Bonifiche Ferraresi compete per la leadership agro-industriale italiana partendo da un patrimonio terriero senza paragoni. Da valorizzare con la tecnologia e la verticalizzazione. Ne parla l’Ad Federico Vecchioni (da Mark Up n. 271)

Due punti discriminanti caratterizzano il #takeaction di Bonifiche Ferraresi o, meglio, di BF Spa che la controlla: la dimensione e il tempo. “Sono convinto che sia il momento giusto per lanciare Bonifiche Ferraresi quale player italiano di riferimento del settore agro-industriale, protagonista in Europa, con caratteristiche uniche come quella di essere il solo gruppo quotato in Borsa a trazione agricola” afferma l’ad Federico Vecchioni, alla guida del piano quinquennale (2015-2019) finalizzato a trasformare la società in un polo agricolo europeo di eccellenza per dimensione, capacità produttiva e qualità dell’offerta. “Si tratta di interpretare il ruolo di campione nazionale che all’Italia mancava, che faccia della materia prima agricola il suo pilastro di forza”.

Partiamo dal pilastro principale?

Il patrimonio della società attualmente poggia su oltre 7.000 ettari di superficie agricola utilizzata, destinati a crescere. Una simile estensione -in corpi unici- consente di applicare alla coltivazione dei terreni innovazioni tecnologiche impensabili in appezzamenti frammentati. Permette di cogliere i vantaggi derivanti dalle economie di scala. Dà un senso gestionale e strategico preciso all’essere la più grande azienda italiana per Sau.

Lei accenna a una congiuntura temporale favorevole, perché?

Bonifiche Ferraresi nasce nel 1871 e nel 1942 finisce sotto controllo di Banca d’Italia. Quando viene rimessa sul mercato nel 2014, la cordata che io rappresento riesce a rilevare le quote di maggioranza detenute da Banca d’Italia. Una cordata italiana, che ora ha la possibilità di trasformare il fattore terra nella vera leva competitiva, all’interno di un mercato nazionale (ma non solo) che chiede prodotti di origine italiana, di filiera garantita e certificata, sicuri e di qualità. Il tema sempre più centrale nell’agroalimentare è quello di avere il pieno controllo della propria capacità produttiva. I nostri areali garantiscono l’approvvigionamento, mettendoci al riparo dalle contrattazioni sulla materia prima.

Qual è la vostra mission?

L’agricoltura trasforma, non consuma. Grazie alla nostra struttura possiamo puntare a ripristinare filiere nazionali che sono state depauperate -anche nella zootecnia-, rilanciare razze e varietà autoctone, gestire le vocazioni areali per declinare al meglio stagionalità, segmentazioni, volumi e coperture; ma anche la regionalità, riportare il lavoro nel Centro-Sud, recuperare capacità potenziali dei terreni, migliorandoli con la tecnologia del precision farming: nella gestione idrica, nel mantenimento dei giusti equilibri e delle corrette rotazioni. Possiamo permetterci un uso molto razionale delle risorse. Il baricentro agricolo comporta una forte attenzione agli interessi della collettività, pur nella generazione di valore per gli azionisti.

Chi sono gli azionisti di riferimento?

La holding dei Consorzi Agrari Italiani, alcuni consorzi singoli, Fondazione Cariplo, famiglia Gavio, Carlo De Benedetti, Sergio Dompè, Inalca, Ocrim, Farchioni, Bios Line, Sis, Cassa Depositi e Prestiti. Da novembre 2017 BF detiene la quota di controllo di Sis-Società Italiana Sementi, tassello fondamentale nella strategia di controllo della filiera alimentare verticale del gruppo. Che si sta riposizionando passando dalla vendita all’ingrosso a produzioni B2C con un proprio marchio di commercializzazione, Le Stagioni d’Italia.

Come si caratterizzano i vostri rapporti con la gdo?

Noi proponiamo una verticalizzazione dal genoma allo scaffale, 100% italiana, per riso, pasta, ortaggi freschi, erbe officinali, tisane, cereali, legumi, farine. Rappresentiamo una garanzia per il retail in termini di multiregionalità e stagionalità. Tra l’altro stiamo rafforzando il nostro ruolo di polo aggregante che trasmette know-how, tecnologia e interlocuzione con le catene interessate a un agroalimentare premium. O di integrazione verso adiacenze produttive, come nel caso dei surgelati. Il fresco è l’ambito perfetto per un lavoro in cobranding con la gdo, che consente oltretutto ottime aggregazioni con produttori più piccoli, per aree produttive omogenee. Siamo disponibili come co-packer nell’alto di gamma, senza pregiudicare lo sviluppo del nostro brand. Ma la chiave di lettura è prospettica: il retail deve capire che può individuare in BF il partner agroalimentare per lo sviluppo a quattro mani di nuove linee di prodotto, nella certezza della copertura produttiva stabile e sicura, secondo principi di compartecipazione progettuale e modelli contrattualistici adeguati.

Come gestite la R&S?

Abbiamo dedicato 200 ettari alla sperimentazione. Ci muoviamo nel rispetto delle vocazioni dei nostri areali (che rappresentano il lato “rigido” dell’impresa agricola), ma puntando al recupero del pieno valore di filiere nazionali lasciate declinare in passato. È il motivo per cui al momento non stiamo prendendo in considerazione, per esempio, l’esotico italiano (avocado, mango ecc.) o le spezie.

La zootecnia è invece compresa?

A Jolanda di Savoia abbiamo sviluppato una delle stalle più moderne e sostenibili d’Europa, un eco-distretto da 1.650 ettari con 8.000 capi bovini, interamente destinati al nostro socio Inalca-Cremonini.

Vi siete dati una vocazione internazionale...

BF è impresa che si muove secondo dinamiche moderne e contemporanee. Lo farà anche in chiave export: intendiamo essere esportatori di intere filiere, del know-how che le caratterizza, della tecnologia necessaria. Essere fautori di crescita locale, in Russia, in Africa. Il tutto attraverso alleanze strategiche, con la forza di investimenti aggregati e con l’appoggio di una rappresentanza politica. La prossima stagione commerciale sicuramente vedrà rafforzato il peso dei rapporti bilaterali fra Paesi, per scenari molto differenti l’uno dall’altro.

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