Le dinamiche delle piattaforme digitali nella sharing economy

Il caso Uber rompe un vecchio equilibrio in un settore che sembra godere di posizioni statiche che non fanno filtrare l’innovazione (da Mark Up n. 274)

Con la complicità dell’Antitrust, gli spunti per ragionare di disruptive innovation, piattaforme e concorrenza dinamica, sono ancora una volta di estrema attualità: nel luglio 2018 è arrivata la pronuncia sui radiotaxi di Roma e Milano, che imponevano clausole di esclusiva ai propri tassisti, ritenute distorsive della concorrenza. Corsi e ricorsi direbbe Giambattista Vico, ci risiamo, la storia (a volte) si ripete: un settore sembra stabile, ciascun player gode della propria posizione, finché l’innovazione -il processo schumpeteriano di “distruzione creatrice”- sblocca lo stallo e porta aria fresca nell’arena competitiva. E così i newcomer modificano la struttura del mercato, erodono le rendite e costringono a una redistribuzione del valore. Le forze della tecnologia e dell’imprenditorialità scrostano un equilibrio arrugginito.

Tuttavia, arrugginiti o no, gli incumbent che in quel “vecchio equilibrio” operavano con successo di solito non hanno intenzione di far posto ai nuovi entranti, di dividersi la torta con ulteriori concorrenti. Piattaforme come Booking, Airbnb e Uber hanno scatenato reazioni di comprensibile ostracismo nel settore turistico-alberghiero e, appunto, da parte dei tassisti.

E allora, “benedetta” o “maledetta” innovazione? Benvenuta sharing economy, o si stava meglio quando si stava peggio - e tanti saluti alle ostriche di Verga e al Gattopardo di Lampedusa?

Questione di prospettive: per un verso, la sharing economy porta con sé effetti evidentemente pro-competitivi: aumenta l’offerta a disposizione dei consumatori, riduce i costi di transazione, facilita il contatto tra clienti e fornitori riducendo le asimmetrie informative. Inoltre, l’economia della condivisione aumenta l’efficienza dal lato sia dell’offerta, consentendo di incrementare la saturazione di capacità sottoutilizzata, che della domanda, con effetti redistributivi, poiché una parte del valore creato viene trasferito a soggetti che altrimenti non avrebbero consumato affatto, o non sarebbero entrati nel mercato.

E allora perché tanto rumore, per i tassisti? Perché non si rassegnano e accettano la sfida? In fondo la questione sembra semplice: un tassista offre un servizio -porta l’utente da un posto ad un altro- a un certo prezzo. Attraverso app come Uber, l’utente può avere il medesimo servizio a un prezzo significativamente inferiore; vantaggio competitivo di costo, lo chiamano i libri di management.

Non per cerchiobottismo, ma qualche colpo alla botte va dato: per trovare un equilibrio e dirimere la partita Taxi contro Uber, infatti, è necessario individuare le ragioni sottese al differenziale di prezzo.

La questione di fondo ruota attorno al fatto che gli scaltri autisti digitali non dovrebbero fondare la loro convenienza esclusivamente sull’asimmetria regolatoria che svantaggia gli incumbent. In altri termini, se Uber(Pop) “costa meno” rispetto a Taxi e Ncc solo perché in grado di eludere il fisco e di aggirare la normativa sulla sicurezza, ripartendosi il risparmio con gli utenti, il vantaggio di costo così ottenuto non affonda le sue radici nell’efficienza e “nel merito”.

Così, se da un lato si può brindare alla sharing economy e agli effetti pro-competitivi delle piattaforme, dall’altro è opportuno tenere presenti i rischi di un’asimmetria regolatoria (su licenze, fisco, sicurezza) che i tassisti devono sopportare e che, invece, gli uberisti smarcano con un click.

La sfida? Bilanciare i benefici della concorrenza dinamica con gli svantaggi sopportati dagli incumbent, condizionati dalla “vecchia” regolazione, che a questo punto andrebbe alleggerita. Quindi, naturalmente sì all’innovazione, ma cum grano salis.

Per creare conoscenza

Prof. Pastore, ci illustra qual è la missione e l’organizzazione della Società Italiana Management (Sima)?

Si tratta della Società Scientifica dei docenti di Management italiani. È un’associazione senza fini di lucro, fondata nel 2013, e conta circa 500 soci, appartenenti a tutte le Università italiane. Il suo obiettivo di fondo è quello di contribuire allo sviluppo e alla diffusione delle conoscenze di management in ambito accademico, economico e sociale su livelli di eccellenza.

Cosa si propone Sima con l’iniziativa Management Notes?

Sima ha creato Managementnotes.it, una rivista-blog digitale, che ha l’obiettivo di partecipare al dibattito politico, sociale ed economico su temi rilevanti per il nostro Paese, a partire da una prospettiva particolare, vale a dire quella delle imprese e del management. Managementnotes.it è uno strumento a disposizione di accademici, imprenditori, manager e consulenti, per contribuire allo sviluppo di idee nel territorio del business management. Per favorire la massima diffusione dei contributi, Sima ha realizzato un importante accordo con Mark Up, che pubblicherà i migliori articoli di Managementnotes.it nella rivista e nel portale.

Quali sono i temi più trattati dal blog?

Managmentnotes.it è aperto a tutte le tematiche di ambito manageriale: strategie, innovazione, tecnologia, sostenibilità, internazionalizzazione, comunicazione, marketing, operations, piccole e medie imprese, finanza e mercati; inoltre, approfondimenti di tipo settoriale come per esempio retailing and service management, tourism and culture management, formazione e università. Di estremo interesse per il blog sono anche le analisi settoriali e i casi aziendali, nonché la divulgazione dei risultati di ricerche accademiche.

Oltre a Management Notes come si può rendere più fluido e fecondo l’importante dialogo sui temi di management fra università e mondo delle imprese?

La cooperazione tra università e mondo delle imprese è di fondamentale importanza, in particolare per chi si occupa di management. Oggi si parla sempre di più di “Terza Missione”, proprio per qualificare il filone di attività che l’accademia deve svolgere “a servizio” del mondo produttivo.

Per cogliere le straordinarie opportunità in merito occorrerebbe, dal lato accademico, che tali iniziative venissero maggiormente riconosciute ed incentivate, e non ostacolate da barriere burocratico-amministrative; dal lato delle imprese, sarebbe importante che vi fosse una maggiore disponibilità a investire fattivamente con l’università per l’innovazione e la creazione di conoscenza.

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