Le sfide future per il grocery retail tradizionale

Per McKinsey il rapporto con il consumatore si baserà sempre più su concetti di fidlizzazione innovativi (da Mark Up n. 265)

Se si osservano gli ultimi dieci anni, nel settore del grocery riscontriamo un trend globale che vale per tutti i mercati in cui i top player del retailing hanno perso progressivamente fatturato; i grossi gruppi quotati, negli ultimi quattro anni, hanno perso fino al 50% del capital value. Mark Up ha incontrato Marco Catena di McKinsey per approfondire i fenomeni in atto.
Cosa sta accadendo nel retail?
Sono in atto tre “terremoti” in grado di cambiare lo scenario. Sta aumentando drammaticamente l’impatto dei discounter e di tutte le forme ultra convenience. L’arrivo negli Usa di discount leader in Europa sta attirando masse di consumatori che vogliono semplificazione della spesa e prezzi bassi, il più possibile. Questa è una disruption enorme per gli americani. Un secondo fenomeno è l’online, non tanto nei traditional player (che lo stanno approcciando lentamente), ma da parte di altri player come Amazon che stanno esercitando un impatto strutturale sul settore grocery. Vi è poi un cambio delle modalità di consumo che vede alcuni nuovi player erodere il mercato del fresco e freschissimo. Si tratta di soggetti esterni al retail tradizionale che agiscono sulla ristorazione “everytime everywhere”, oggi molto in uso tra i Millennials. Lo “stritolamento” dei traditional retailer è quindi in atto sulla top line con un calo di vendite per metro quadrato e sulla profittabilità legata alla guerra di prezzi. La combinazione di competition più aggressiva e frammentazione dei consumi, con grande peso sul fuori casa, è la sintesi dello scenario.
Poi ovviamente incide la tecnologia.
Sì, i fenomeni in atto sono legati all’impatto tecnologico su tutti i fronti. Quando si parla di retailing non bisogna pensare solo all’eCommerce. Questa è una parte. L’apporto tecnologico agisce su front-end e back-end.
Il consumatore ha compiuto una fuga in avanti con la tecnologia. Come risponde il retailing?
Dal nostro punto di vista occorre partire da un dato di fatto, come sottolineano le ricerche che abbiamo effettuato a livello mondiale: oltre l’80% dei consumatori desiderano offerte personalizzate. Questo si traduce soprattutto nella possibilità di risparmiare tempo ed energie, da parte del consumatore stesso, nella ricerca dei prodotti e nella valutazione delle alternative. Il consumatore fidelizzato pretenderà sempre di più dal proprio retailer la risoluzione di un problema e soprattutto l’offerta di proposte in target. Ad esempio, offrire un buono sconto sui pannolini a una persona che non ha figli in età infantile è deleterio.
Ma se i consumatori desiderano questo approccio, i retailer danno risposte adeguate?
È questo il punto dolente. Le nostre ricerche a livello mondiale evidenziano che solo il 20% del campione si dice soddisfatto del proprio retailer.
Quando si parla di personalizzazione si comprende anche il personal pricing?
Questo è un bel tema dalle grandi potenzialità, ma critico. Se si attuano politiche di personal pricing corrette, si riescono a ottenere risultati importanti per tutti gli attori: retailer e consumatore. Diversamente il consumatore può non gradire e voltare le spalle all’insegna.
Facciamo qualche esempio.
Se si utilizza il personal pricing con attenzione alla trasparenza si aumenta il trust e la fidelizzazione. Viceversa, utilizzandolo per alimentare prezzi civetta per poi ottenere marginalità su altre referenze sfruttando il digitale, il consumatore se ne accorge e scappa. In alcuni Paesi europei, importanti retailer hanno fatto retromarcia adottando la
politica del prezzo costante “every day low price” dopo aver provato il dynamic price.
Quindi il personal pricing è controproducente?
Il punto è riuscire a dare valore al consumatore e instaurare un rapporto trasparente e di fiducia. I retailer che abuseranno della tecnologie per estrarre valore dal consumatore senza renderglielo sotto qualsiasi forma ne subiranno le conseguenze. Perché ogni variazione di prezzo richiede una spiegazione.
I vostri studi sui consumatori sono globali ma le realtà locali sono molto differenti. Quale il denominatore comune?
Esistono trend globali comuni. Per esempio il cibo salutistico, la tracciabilità. Questi temi li ritroviamo ovunque e generano importanti investimenti da parte dei retailer. Un altro trend è il consumo fuori casa che, con velocità differenti, sta diffondendosi a macchia d’olio. Nei Paesi sviluppati cucinare sta diventando un’attività sempre meno in uso. E cresce il trend di acquisto di cibo pronto da consumare a casa.
Come si può spiegare la presenza di trend globali nei consumi alimentari?
Ci troviamo davanti a un cambiamento trainato dalla tecnologia, che è trasversale in tutto il mondo. Così i Millennials americani, come quelli cinesi e italiani, utilizzano modalità di approccio e consumo pilotati dai modelli basati su sistemi digitali. Poi ci sono Paesi a demografia più anziana, come il nostro, che possono evidenziare una velocità di affermazione del trend inferiore. Ma si tratta comunque di variazioni quantitative e non qualitative.
I fenomeni in atto determineranno una condensazione dei format commerciali?
La trasformazione e razionalizzazione dei format è subordinata ai bisogni del consumatore, ma il trend è il consolidamento verso tre-quattro value proposition. Crescono i formati a valore come i discount che sono in grado, in molti casi, di offrire il fresco superando il loro limite originario. Basti pensare alla produzione quotidiana di pane fresco. Oltre i discount stanno evolvendo formati in grado di offrire una shopping experience di maggiore impatto, “inspirational” con elementi qualitativi superiori, anche di tipo etnico, nei quali il cliente più esigente può trovare delle risposte. Ancora, stanno emergendo l’ultra-convenience, i piccoli on-the-go, presenti in modo frammentato lungo il percorso del consumatore, e operatori digitali che effettuano la consegna a domicilio.
In questo scenario come si configura il tema omnicanalità?
Il digitale diventa pervasivo in senso assoluto, ma le declinazioni sono differenti rispetto ai format e ai modelli di business. Non è detto che l’eCommerce nel food si debba applicare a tutti i format. Tuttavia, la fidelizzazione e la personalizzazione sono ambiti che si estrinsecano solo grazie al digitale. Senza si perde terreno. Tutto questo anche per gli ultra-convenience, almeno per quanto riguarda il front-end.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome