L’Italia delinea un profilo deficitario nelle potenzialità di crescita

Esperti – Secondo alcuni il nostro paese sarebbe meglio attrezzato di altri per fronteggiare la crisi. Un confronto della nostra situazione economica con quella di Spagna e Regno Unito. (Da MARK UP 176)

1.
Le debolezze superano
i fattori positivi rendendo sfavorevole
il confronto internazionale

Abbiamo sentito più volte sostenere, da specialisti della materia, politici e opinionisti vari, che l'Italia è meglio attrezzata di altri partner industrializzati ad affrontare questa crisi, in origine definita finanziaria. Due i motivi: la migliore qualità dell'attivo bancario per il complesso degli istituti di credito, cioè minore quota di titoli basati su crediti inesigibili o addirittura di difficile identificazione e la maggiore patrimonializzazione delle famiglie italiane.
Viene invocata, talvolta, un'altra ragione a sostegno della tesi, rimandando, in modo piuttosto oscuro, alla presunta forza relativa del piccolo capitalismo diffuso del nostro paese, rappresentato dai distretti industriali e legato al territorio. Prendiamo per buono tutto quanto appena segnalato e verifichiamo dinamica e prospettive di alcuni indicatori macroeconomici (di fonte Commissione europea, quindi senz'altro indipendente rispetto ai diversi Stati). Il confronto internazionale, per semplicità, è limitato a tre soggetti: Italia, Regno Unito e Spagna, avendo scelto questi ultimi due a motivo dell'asserita eccessiva finanziarizzazione dell'economia nel caso inglese e della paventata bolla immobiliare degli spagnoli. La sintesi è nella tabella e riguarda prodotto interno lordo pro capite e consumi. Entrambe queste variabili non danno la felicità ma, come si suole dire, aiutano.

Dunque la Spagna sembra dover soffrire un po' più di noi, che tuttavia siamo messi un po' peggio, in termini dinamici, del Regno Unito. Inoltre, specialmente per il Pil pro capite, la nostra situazione prospettica non è dissimile da quella degli altri paesi. Mi pare che della tesi della presunta forza relativa rimanga ben poco.
D'altra parte, se apprezziamo la crescita in un arco di tempo più ampio, emerge un grande (e noto) divario a sfavore dell'Italia che aiuta a capire sia il disagio dei nostri imprenditori e dei cittadini-consumatori in generale sia contribuisce a porre nella giusta prospettiva l'attuale recessione: Spagna e Regno Unito, che dovrebbero essere tra i paesi con le peggiori performance, faranno un passo indietro come Pil pro capite e consumi che li riporterà al 2005-2006, mentre il nostro capitombolo ci riporterà ai livelli di inizio secolo. Come dire che dieci anni di fatica sono andati perduti.

L'atteggiamento oculato

Sarebbe però sbagliato liquidare così la questione del confronto internazionale. Qualcosa di corretto nella tesi della migliore posizione relativa dell'Italia rispetto ai circuiti internazionali del credito c'è. Riguarda soprattutto l'atteggiamento più oculato e prudente delle famiglie italiane.

Consideriamo l'evoluzione complessiva del debito pubblico e del risparmio privato nel periodo 2001-2007, basandoci sempre su fonti ufficiali internazionali. Se togliamo al processo di accumulazione del risparmio privato italiano, al netto dell'acquisto di immobili, la differenza positiva nei valori del debito pubblico tra i due estremi del periodo, rinveniamo un avanzo (167 miliardi di euro). Cioè, al netto dell'acquisto di case, con il rimante risparmio gli italiani avrebbero potuto acquistare tutto il nuovo debito pubblico creato negli ultimi 7 anni. Non è andata così per spagnoli e inglesi, che presentano valori molto negativi a saldo dell'analogo conteggio. Addirittura, nel Regno Unito, nell'anno 2007, i consumi delle famiglie residenti hanno superato il loro reddito disponibile corrente per circa 20 miliardi di sterline. Due conclusioni.

La prima è che effettivamente una frazione - non maggioritaria - della crescita dei consumi presso alcuni paesi europei è stata finanziata a debito, e questo inciderà nel processo di rientro del debito privato in eccesso. La seconda, più grave e amara, è che, se da una parte abbiamo qualche elemento di forza relativa sul piano finanziario e congiunturale, il nostro paese è drammaticamente deficitario sotto il profilo delle potenzialità di crescita strutturale (formazione del capitale umano, giustizia, amministrazione pubblica e infrastrutture materiali). Queste debolezze superano i fattori positivi, rendendo costantemente sfavorevole il confronto internazionale delle nostre con le altrui performance economiche.

Temo che usciremo dalla crisi esattamente come ci siamo entrati: con una crescita insufficiente per le legittime aspirazioni dei lavoratori italiani e delle famiglie consumatrici.

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