L’Italia protagonista nell’Eu a doppia velocità

Secondo una linea di continuità fra Governo gentiloni e Governo Renzi, il nostro Paese si è ritagliato un ruolo di spinta nelle strategie dell'Unione. Ne parla Sandro Gozi, sottosgretario alla Presidenza del Consiglio con deleghe per politiche e affari europei (da Mark Up n. 260)

La Brexit, il futuro della Ue, il rapporto con gli altri Paesi: parla Sandro Gozi,
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega per politiche e affari europei.
La Germania spinge per un’Europa a doppia velocità. Quale la posizione dell’Italia?
Il Governo italiano è favorevole. Nella dichiarazione di Roma del 25 marzo scorso abbiamo ricordato che questa possibilità esiste già: lo dimostra la storia europea. Nel 1985 l’accordo di Shengen venne siglato da 6 Stati per poi estendersi agli altri. Per l’Italia la porta deve rimanere sempre aperta per quei Paesi che vogliono raggiungere il gruppo di testa dopo. Sarà il singolo Stato a scegliere se aderire o no.
Il Governo sta per varare un decreto correttivo sui conti pubblici. Perché l’Europa chiede questo nuovo sforzo?
In questi anni siamo riusciti a spingere l’Unione e la Commissione Europea verso un approccio più intelligente per favorire la crescita. Per questo abbiamo ottenuto 19 mld di investimenti attraverso la flessibilità e una rinegoziazione del debito più graduale. La Commissione Europea ha ritenuto di fare una piccola correzione con un’impostazione conforme alla volontà del Governo italiano: la manovra tutela la crescita e non aumenta le tasse, tranne che su giochi e tabacchi. Ritengo che siamo arrivati al limite con le regole
esistenti e si dovrebbero fare due correzioni a livello europeo: modificare i parametri nel calcolo di deficit strutturale e crescita potenziale e opporci all’inserimento del fiscal compact nei trattati senza modifiche: finora non hanno portato i risultati sperati.
Oggi sembra impossibile che l’Europa possa garantirci una nuova flessibilità economica.
Dipende dalla volontà di Econfin di rivedere i parametri tecnici: se modificati come chiesto da Italia e altri 9 Paesi troveremmo nuovi margini. Va stimolato il dibattito per
rivedere norme che favoriscano gli investimenti non più su base semestrale, mapluriennale.
La politica europea del Governo Gentiloni?
C’è una linea di continuità tra questo Governo e quello Renzi. L’obiettivo era ed è
superare alcuni aspetti della politica europea: l’infondato complesso di inferiorità verso la Comunità europea; una sorta di acquiescenza rispetto a Bruxelles e l’elaborazione di politiche innovative. Le iniziative del Governo Renzi hanno portato cambiamenti come le regole sulla flessibilità, applicate in maniera più consistente. Abbiamo anche convinto i partner ad avviare investimenti strategici come il piano Juncker. L’Italia ha un ruolo di spinta e lo si capisce anche dalla firma dei trattati di Roma, fortemente voluti dal nostro esecutivo. Non siamo più un Paese silente e passivo.
A che punto siamo con l’attuazione del piano Juncker?
L’Italia è il suo principale utilizzatore: saranno mobilitati quasi 12 mld in progetti per
infrastrutture, digitale e per facilitare l’accesso al credito per le pmi. Il Governo Renzi è stato un negoziatore molto esigente.
Nel nuovo Def non c’è traccia di riduzione dell’Irpef. Un’idea ormai tramontata?
Rimandata, piuttosto, e questo perché siamo stati molto prudenti nelle previsioni. La riduzione dell’Irpef richiede tassi di crescita superiori a quelli da noi previsti in maniera prudenziale. Rispetto alle previsioni del Def speriamo che la realtà economica sia più positiva e allora si potranno fare ragionamenti diversi.
Brexit: come avverrà?  
In Europa nessuno vuole mettere in dubbio l’esito del referendum: il tema è capire come. Il Primo Ministro Teresa May parla di hard Brexit, una linea dura che applicherà se le elezioni. Nel caso perdesse, il tema si riaprirebbe.
I tempi per la fuoriuscita del Regno Unito dall’Europa?
I negoziati inizieranno a metà giugno: saranno complessi perché legati alla campagna elettorale. Le trattative si svilupperanno in due fasi: la prima dovrà risolvere la questione dei cittadini residenti in Uk, il bilancio e la frontiera irlandese. Dopo comincerà il negoziato sulle future relazioni tra Uk e Ue dopo il 2019.
Si riprenderanno rapporti commerciali con la Russia?
Penso di sì. L’Italia ha sempre tenuto una posizione ragionevole: di fermezza e di dialogo. Ma Putin ha commesso degli errori, come indebolire la Ue. La vicinanza con i partiti populisti è una testimonianza.
Gli Usa hanno annunciato un’offensiva commerciale contro prodotti italiani ed europei. Contromisure?
È una partita che si gioca a livello europeo: l’Ue ha competenza esclusiva in materia
commerciale. Abbiamo gli strumenti per tutelare i nostri interessi come l’utilizzo di dazi europei. Certo vorremmo evitare uno scontro con un partner commerciale così importante.
Altri fronti aperti in tema di commercio estero?
Uno riguarda la Cina: bisogna stabilire criteri sui cui creare relazioni commerciali future evitando pratiche sleali. Vi è la partita della ratifica e dell’attuazione dell’accordo di libero scambio tra Ue e Canada, il Seta. Un accordo modello che rispetta e tutela gli standard ambientali, sociali, in materia di salute, aumentando le opportunità di crescita per le imprese.

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