Lo spot Motta fa arrabbiare i vegani. E ci dà 3 grandi lezioni

Il brand ha scelto di rilanciare la ricetta tradizionale del panettone attraverso un’antitesi ironica con ingredienti “moderni” come tofu e bacche di goji. Sull’online sono risate ma anche polemiche. L’opinione del direttore creativo e quello che bisogna ricordarsi oggi in comunicazione.
Un frame dello spot Motta per Natale 2016
Un frame dello spot Motta per Natale 2016

Buttati, che è morbido! Ve lo ricordate? Io sì e mi fa ancora sorridere. A Natale la comunicazione emozionale con bambini e luci è uno standard che fa da comfort zone per tutti, tra chi riesce meglio e chi si distingue un po’ meno.
Quest’anno, comunque, Motta ha cambiato rotta e nel nuovo spot ha scelto un tone of voice scherzoso che per promuovere la ricetta tradizionale del proprio panettone ha citato in antitesi ingredienti più eccentrici e di popolarità moderna, come tofu, seitan, alghe e bacche di goji.

In un contesto di crescente salutismo e adozione di regimi alimentari particolarmente rigorosi, la pubblicità ad alcuni è parsa offensiva e sul web si è aperta la diatriba tra ironici sostenitori e indignati oppositori. A rappresentanza dell’opposizione una parte del fronte vegano, che si è sentito implicitamente tirato in causa (complici alcune titolazioni pretestuose da parte del mondo giornalistico), con Vegan Chronicles che ha addirittura creato un contro-spot (di scarsissimo successo in termini di visualizzazioni).

Agostino Toscana, direttore creativo di Saatchi&Saatchi, ovvero l'agenzia che ha curato la campagna, ha spiegato a Mark Up:

La nostra intenzione era semplicemente quella di comunicare che il panettone è lo stesso della ricetta originale del brand fin dalla origini. Da qui la scelta di utilizzare un’antitesi paradossale ed elementi che naturalmente non sarebbero mai potuti rientrare nella ricetta, non si tratta di un attacco ai vegani, che infatti non vengono nominati, ma di un riferimento volutamente eccessivo agli ingredienti più esotici dell’alimentazione odierna. Si chiama paradosso pubblicitario e tutto è basato su un contrasto tra ricetta originale e tendenza moderna. Non abbiamo pensato al vegetarianesimo e infatti la reazione di questo target group ci ha stupito. Abbiamo fatto di tutto perché la comunicazione non risultasse seriosa. Si figuri che io ho una figlia vegana e si è messa a ridere anche lei.

In un video su You Tube Matteo Flora, fondatore di The Fool Srl e specialista nella tutela della reputazione, conferma che non si tratta certo di una crisi né di un grande problema per un brand come Motta, ma sostiene anche che vi siano alcuni potenziali errori in questo tipo di comunicazione. Senza entrare nel merito di considerazioni eccessivamente soggettive, comunque, vi sono 3 importanti lezioni che questa case history ci fornisce il pretesto per delineare:

1Le ideologie alimentari sono oggi al pari di una religione
Ovvero: una tematica ugualmente sensibile. A torto o a ragione è infatti innegabile, come abbiamo già rilevato più volte, che lo stile dietetico oggi sia sempre più sovrapposto a uno stile di vita tout court e a un proclamazione di identità. Le regole alimentari sono spesso dogmi che definiscono la persona a livello più ampio e che servono a quest’ultima per autodeterminarsi in modo stabile. Va da sé che il tono ironico in proposito risulti più efficace nel suscitare una reazione, ma anche più rischioso come sempre avviene quando si fa riferimento a valori di tipo ideologico.

Se il tofu non è più solo tofu, ma si trasforma in un simbolo di altro, citare il tofu diventerà come citare tutto questo “altro”, anche se l’intento originario era quello di fare dell’ironia senza tirare in causa nessuno in particolare.

2Uscire dalla “comunicazione commodity” può essere polarizzante (ma anche efficace)
Parliamoci chiaro: i panettoni sono una referenza stagionale e sovrabbondante in termini di marche ed opzioni. L’imperativo è sapersi distinguere e una pubblicità che dica semplicemente “il nostro è migliore degli altri” non è che sia granché distintiva e capace di farsi ricordare. Utilizzare un tono sopra le righe per uscire dalla banalità è un rischio che probabilmente può avere senso assumersi, anche nell’ipotesi di scontentare qualcuno.

Bisogna poi fare un’ulteriore considerazione: i vegani in Italia rappresentano ad oggi l’1% della popolazione e, anche ammesso che ognuno di loro si sia sentito offeso e che questo gruppo sia o meno destinato a crescere, questi ultimi non saranno mai il target di riferimento del panettone tradizionale. Dall’altro lato, invece, tra gli acquirenti-tipo del prodotto ce ne sarà almeno una buona parte che sposa in pieno l’ironia sul tema, vivendola come una sorta di risarcimento e gratificazione al pullulare proprio di tali diete ideologico-restrittive e di questa iper-comunicazione a sfondo salutista (si pensi a tutti i post che circolano sui social e che si fanno apertamente beffa dei vegani). Non è detto che sia sempre così, a volte rivolgersi solo al proprio target non considerando l’interlocutore indiretto è il più grande errore che si possa commettere (5 epic fail trattati qui ve lo dimostrano), ma è improbabile che sia questo il caso.

3Le intenzioni non sono il messaggio
In comunicazione non conta quello che si vuole dire, ma quello che arriva dall’altra parte. Un insegnamento base che sul web acquista tutt’altra rilevanza. Se pensate che i consumatori non si riapproprieranno del vostro messaggio, anche fraintendendolo, siete rimasti all’epoca del Carosello. Il ciclo pubblicitario è diventato circolare tanto che gli utenti arrivano a dire la loro riproponendo il vostro contenuto in una nuova versione che li faccia sentire meglio rappresentati. In realtà, gli user generated content sono uno dei più alti livelli di engagement e favorirne la creazione per consentire al nostro target di esprimersi è una formula personalizzante e molto efficace. Certo, questa modalità può assumere i toni della parodia o della protesta, ma fa tutto naturalmente parte del nuovo dialogo orizzontale e del nuovo empowerment delle audience.

 

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