Localismo e frazionamento distributivo: l’inflazione corre

L'opinione – Una delle componenti negative dello scenario recessivo in cui si muove il paese è rappresentata dalla ripresa dell'inflazione (da MARKUP 208)

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L'inflazione, dopo essersi attestata per alcuni anni su valori intorno o inferiori al 2%, è tornata a infrangere la barriera del 3% a causa del prezzo del petrolio e di tutte le principali materie prime alimentari in ascesa. Sulla ripresa dell'inflazione pesa anche il costo dei servizi che cresce da dieci anni più del tasso di inflazione. In molti paesi a far fronte all'inflazione è l'efficienza del sistema distributivo, ma le ricerche comparative sui sistemi distributivi in Europa indicano che l'Italia ha un costo fra i più alti che si riflette sui prezzi al dettaglio il cui livello è tendenzialmente superiore. Le cause dell'inefficienza del sistema Italia sono note, antiche e complesse, ma riferendoci al sistema distributivo e a quello dei prezzi al dettaglio dei beni di largo consumo, pesa il frazionamento e il regionalismo delle insegne, dei centri decisionali e delle infrastrutture logistiche. Ne consegue la loro insufficiente dimensione competitiva anche se agiscono protette dalla piramide di concentrazione degli acquisti delle centrali e delle supercentrali. Altro segnale della scarsa competitività del nostro sistema è il differenziale di prezzo dei prodotti a marchio con le marche nazionali che è fra i più bassi in Europa e forse è per questo che la loro incidenza è inferiore.

Sviluppo incompiuto
L'opposizione del sistema politico centrale e di quello locale allo sviluppo della distribuzione moderna ha impedito, fino alla fine del secolo scorso, la realizzazione di imprese di dimensione nazionale, capaci di competere a livello internazionale. È nato così un sistema a macchia di leopardo nel quale le insegne straniere hanno avuto buon gioco a inserirsi nei mercati più ricchi e dove il localismo ha quasi sempre trionfato sull'esigenza di un suo ammodernamento equilibrato e pluralistico. Il costo della ritardata attuazione della rivoluzione distributiva è stato pagato con un costante differenziale negativo della nostra inflazione, anche in settori strategici come quello della distribuzione dei carburanti diventato terreno di sviluppo per i retailer francesi. Il confronto fra competitor, anche dal punto di vista delle metodologie delle analisi della distribuzione, è stato sempre fatto e utilizzato come strumento di misurazione del potere contrattuale nei confronti dell'industria e non come capacità di penetrazione sui consumi finali e quindi sulle vendite al dettaglio. Anche se, negli anni '80 e '90, si è verificato un grande processo di concentrazione, si pensi a Coop, Conad e Sisa, che ha ridotto drasticamente il numero delle strutture logistiche, è altresì vero che, soprattutto nelle regioni meridionali, il loro numero è pletorico e sotto i livelli e gli standard di efficienza medi europei. In tal senso il confronto con la Francia è illuminante, mentre è improponibile quello con la Germania o il Regno Unito. In Francia i primi tre gruppi, a cui corrispondono quattro insegne a diffusione nazionale, realizzano la metà delle vendite della distribuzione alimentare, mentre in Italia i primi tre gruppi pesano un po' meno del 40%, ma realizzano questa quota con oltre quaranta insegne. Significativo è il caso dei discount, l'unico format in crescita, la cui quota è il 10% delle vendite del dettaglio alimentare, ma a realizzarla sono oltre 15 insegne con oltre cinquanta attori logistico/commerciali sparsi sul territorio. L'assenza di grandi insegne nazionali ha limitato la competizione e in particolare quella sui prezzi riducendo il confronto a battaglie sub regionali, da cui non emerge nessun leader e, in assenza di insegne nazionali calmieratrici, alla fine il consumatore si protegge facendo man bassa di prodotti a prezzo conveniente.

2009-2011: l'autodifesa dei consumatori
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Allegati

208_Fatelli

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