L’Open Innovation in versione 2.0.

Idee e interrogativi per lo studio di un diverso rapporto tra grande impresa, start-up e utenti.

Negli ultimi decenni la diffusione del paradigma “Open Innovation” ha reso sempre più complementari i modelli di R&S di grandi imprese e startup high-tech. Abbandonata l’idea dei “silos”, i laboratori delle grandi imprese acquisiscono know-how tecnologico esterno, cedono licenze d’uso dei propri brevetti e/o avviano processi di spin-out per sviluppare idee e tecnologie “inutilizzate” perché non core. La configurazione informale delle attività di R&S di piccole imprese e startup tecnologiche e la predisposizione al networking di nuovi scienziati-imprenditori hanno allo stesso tempo reso altamente scalabili nuovi modelli di business aperti, basati sull’integrazione di domini tecnologici, sulla condivisione di asset di conoscenza e sullo sviluppo di nuove traiettorie di mercato ad elevato contenuto di idee.

Da alcuni anni l’attenzione di studiosi di Open Innovation, manager di grandi imprese e policy maker europei si è concentrata verso l’efficacia delle dinamiche di Open Innovation 2.0, ovvero sul successo di progetti di R&S collaborativa tra imprese integrate in ecosistemi dove a partecipare attivamente non sono solo produttori, ma anche utenti e consumatori. La trasposizione di questo termine al mondo del technology management si adatta perfettamente a definire un ambiente di networking collaborativo (e competitivo) che integra in maniera localizzata o “virtuale” imprese, ricerca pubblica, governi, cittadini, utenti. Elementi centrali per il successo di ecosistemi di Open Innovation 2.0 sono i principi di collaborazione inter-organizzativa, co-creazione e condivisione di valore, dinamiche esponenziali di diffusione e adozione di nuove tecnologie. In un recente studio condotto per conto di JRC-IPTS (Institute for Prospective Technological Studies, EU Commission, Seville) abbiamo analizzato 13 casi di aziende europee che hanno sviluppato e implementato strategie di Open Innovation e Open Innovation 2.0. Nel leggere i risultati emersi dallo studio, ci sembra che esistano almeno tre ambiti di studio particolarmente promettenti per lo sviluppo della nostra comprensione di strategie Open Innovation, nella sua versione 2.0.

Primo: è utile mettere meglio a fuoco quale sia il ruolo delle grandi imprese, e la relazione tra i loro investimenti in R&S e lo sviluppo di ecosistemi aperti al coinvolgimento di una pluralità di attori. La creazione di ecosistemi può permettere ai soggetti che vi prendono parte di deviare dal “business as usual”, di ottenere profitti dal licensing, di sviluppare business model aperti su tecnologie “non core”, e percorsi di diversificazione su nuovi mercati. In tutto ciò, rimane fondamentale il ruolo catalizzatore di un grande soggetto industriale o finanziario.

Secondo: dobbiamo inquadrare ancora meglio ciò che avviene in sistemi di scambio caratterizzati da Open Innovation 2.0. Le relazioni tra imprese all’interno degli ecosistemi sono bilaterali: si scambiano prodotti e conoscenza. Come e quando gli utenti diventano fattore rilevante di questi scambi? Una Una sfida chiave perché questa interazione con gli utenti diventa fondamentale per lo sviluppo tecnologico o del business sarà quella di identificare i meccanismi di appropriabilità del contributo di conoscenza. Tali meccanismi devono garantire una corretta distribuzione di profitti e incentivi, e mantenere alto lo user engagement.
Terzo: se da un lato i meccanismi formali di protezione della proprietà intellettuale consentono a piccole e grandi imprese di monetizzare idee e tecnologie sviluppate al di fuori della propria value network, questi possono non rappresentare la soluzione ottimale in ogni contesto tecnologico e industriale. L’eccessiva formalizzazione della protezione della proprietà intellettuale può infatti portare a soluzioni di business sub-ottimali. Sempre più promettente è dunque lo studio di modelli alternativi, caratterizzati dalla combinazione di diversi asset di proprietà intellettuale con nuovi modelli di business di piattaforma.

di Alberto Di Minin e Cristina Marullo

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome