Maam, un ponte tra maternità e professione

Con l’esperienza della genitorialità si acquisiscono naturalmente competenze e soft skill che, se riportate in azienda, possono essere trasformate in maggiore efficienza e produttività. Una risorsa da valorizzare oltre il pregiudizio (da mark Up n. 272)

C’è un aspetto particolarmente irragionevole nella discriminazione femminile sul lavoro. La principale causa del fenomeno, infatti, è in realtà il motivo che più di ogni altro dovrebbe indurre le aziende a favorire l’integrazione professionale delle donne. Che si parli della difficoltà di raggiungere livelli dirigenziali, differenza di reddito con i colleghi o minore livello di occupazione, gli studi scientifici sono concordi nell’indicare una medesima causa: la maternità. Un recente studio riportato da The Economist stima che in America lo stipendio di una donna si riduca del 4% per ogni figlio; del 10% in caso di posizioni a reddito elevato. Altri studi rivelano che le donne manager in evidente stato di gravidanza vengono giudicate meno coinvolte, autorevoli e affidabili. Non a caso in Italia le dimissioni o risoluzioni dei contratti di lavoro riguardano soprattutto le madri lavoratrici: nel 2016 oltre 27.000 madri (il 78% del totale) hanno lasciato il lavoro a fronte di 7.500 padri (di questi i tre quarti hanno semplicemente cambiato azienda). Shelley J. Correll della Cornwell University sostiene che le disparità si verificano “perché l’idea culturale del ruolo della maternità è in conflitto con l’idea di lavoratore ideale”. Eppure, quella che sembra una debolezza si rivela un punto di forza: le donne in maternità, infatti, costituiscono un importante e sottovalutato fattore di competitività per le aziende. Ne è convinta Riccarda Zezza che insieme ad Andrea Vitullo ha ideato il programma Maam (Maternity as a master), un percorso che accompagna le neo mamme (ma anche i neo-papà) a prendere coscienza delle nuove competenze che la genitorialità porta con sé. Competenze che potrebbero essere valorizzate con successo anche sul luogo di lavoro. L’idea di base è che alla nascita di un figlio le donne acquisiscano nuove abilità tipiche del leader: senso di responsabilità, capacità di analizzare e semplificare situazioni nuove e complesse, empatia, concentrazione. E non sono solo le imprese a sottovalutare questo potenziale, ma anche le donne stesse. Per questo nel 2012 è nato Maam, un percorso digitale di training, riflessioni e confronto con altri colleghi e colleghe per far sì che ogni mamma possa creare il proprio ponte tra maternità e professione. Una piattaforma di e-learning già inserita in molte aziende italiane come Poste Italiane, Generali, Unicredit, Enel e Danone: un’adesione ampia sintomo anche di un positivo cambiamento culturale. E il progetto dalla sua nascita ha già ottenuto importanti risultati, come ci spiega la co-fondatrice Riccarda Zezza.

Maam nasce anche dalla sua esperienza personale in azienda. Ce la racconta?

Per 15 anni ho lavorato in multinazionali dove ho visto quanto elementi percepiti come diversi venissero scartati dal sistema, generando inefficienze e infelicità. Tra questi anche la dimensione familiare, che oggi è ancora portata prevalentemente dalle donne. Eppure, si tratta di situazioni di maggiore complessità che fanno crescere le persone e le fortificano. Avere ruoli diversi non è un fattore limitante, anzi, arricchisce le persone dando maggiori energie e creando sinergie tra vita privata e professionale. Per questo ho ideato con Andrea Vitullo il programma Maam, iniziato come percorso di formazione in aula destinato a tutti i “caregiver”, persone che si prendono cura di altre persone, e che dava loro gli strumenti per trasformare le attività di cura in un master in sviluppo di competenze trasversali.

E da questa idea iniziale come si è evoluto il progetto?

Il progetto, nato da una ricerca con forti basi scientifiche narrate nel libro Maam - La Maternità è un Master (Bur, 2014), si è poi evoluto nella creazione di una piattaforma digitale rivolta a tutte le donne incinte e mamme di bambini 0-3 anni delle aziende clienti. La tecnologia ha reso l’esperienza formativa “blended”: l’apprendimento avviene in parte attraverso il digitale e in parte off line, nelle palestre della vita quotidiana. Siamo partiti offrendo questo percorso formativo alle neo mamme per poi allargarlo anche ai papà dipendenti di aziende di qualsiasi dimensione e anche internazionali.

Quali sono i prossimi sviluppi del progetto?

La ricerca si sta arricchendo di partnership con prestigiose università come con Cà Foscari (è appena partita una ricerca del Ca’ Foscari Competency Centre e di Life Based Value che misura le competenze emotive e sociali dei neo papà e neo mamme dipendenti di grandi aziende aderenti al programma Maam) che consentiranno di consolidare il nuovo metodo del “life based learning” a livello accademico. Non si tratta solo di fornire nuove risorse alle aziende, aiutandole a usare meglio quello che già hanno in casa e di mostrare alle persone quante competenze hanno già a disposizione se ne diventano consapevoli e le usano in modo nuovo: si tratta di cambiare la prospettiva sul rapporto vita-lavoro, tradizionalmente visti come in conflitto. Tra vita e lavoro c’è invece sinergia, di competenze e di energie, e ignorarla è fonte di inefficienze e infelicità.

Perché ha pensato di proporlo subito alle aziende?

Le aziende sono dei micro-cosmi con una forte cultura interna, quindi possono essere potenti motori di cambiamento e hanno interesse a investire sui neo genitori per aumentare la competitività. Le imprese spendono 1 miliardo di euro in corsi di formazione per far sviluppare ai manager/dipendenti proprio le cosiddette competenze soft, come la comunicazione, la scelta delle priorità e la creatività, ignorando l’esistenza di una “palestra” di comprovata efficacia rappresentata dall’esperienza della genitorialità. Gestione del tempo, problem solving, agilità mentale, capacità di ascolto: sono solo alcune delle competenze che la genitorialità allena e che, se applicate in azienda, consentono di aumentare produttività ed efficienza.

Perchè alcune aziende non utilizzano Maam?

Intanto, magari non lo conoscono: rappresentiamo un approccio completamente nuovo allo sviluppo delle competenze e alla visione dell’equilibrio vita lavoro, e siamo sul mercato da poco più di due anni. In secondo luogo, serve tempo e tanta comunicazione per spiegare qualcosa di così innovativo, che non rientra negli schemi delle risorse umane delle aziende, abituati da decenni alla formazione in aula, più tradizionale (e costosa).

Considerando questo punto di partenza, abbiamo registrato ben poche esitazioni nel momento in cui abbiamo presentato la nostra proposta. I dati che forniamo alle aziende confermano l’efficacia del metodo Maam. Nelle 30 aziende italiane che hanno aderito a Maam, oltre un genitore su due sceglie su base volontaria di utilizzare il programma e l’86% dei partecipanti (2.000 donne e 300 gli uomini) dice di sentirsi più forte, di avere più risorse.

Quali altri feedback vi danno le imprese aderenti?

Le aziende che partecipano al progetto appartengono a diversi settori (dai servizi bancari alla gdo, dalla Pa al settore energy) e hanno dimensioni molto varie, da pmi a multinazionali. Tra i tanti feedback positivi ricordo quello del Comune di Milano, che è stato uno dei nostri primi clienti ha dichiarato che

“… grazie a questo progetto, riportiamo all’interno delle risorse umane del Comune persone con competenze più forti, in grando di garantire servizi migliori al cittadino”.

E i dipendenti cosa dicono?

I dipendenti che hanno fatto il master registrano un miglioramento delle competenze che va dal 5% al 35%. Un papà che sta usando la piattaforma Maam ha detto: “sviluppo l’agilità mentale perché mi trovo più a contatto coi miei limiti, soprattutto quando sono stanco.

E poi mi diverto”.

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