Mediterraneità: opportunità per un’Europa in uscita dalla crisi

In primo piano – L’analisi delle prospettive dello spazio comune euro-africano in chiave economica e politica (da MARK UP 201)

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1. Inversione di tendenza: il mondo arabo si mette in moto per uscire dalla precarietà
2. Un'occasione storica che sarebbe deleterio non riuscire a cogliere in tutta la sua portata

Linkontro, il recente appuntamento annuale che Nielsen Italia organizza a favore degli operatori del largo consumo nell'ormai consolidata cornice sarda del Forte Village, ha spinto quest'anno lo sguardo di analisi molto in profondità. Una mossa dettata dalla volontà di cogliere un punto fondamentale del prossimo futuro, preludio a un potenziale quanto enorme rilancio delle dinamiche economiche dell'Europa - e quindi dell'Italia -, ma anche di un possibile (e purtroppo non del tutto improbabile) fallimento europeo. Le cui conseguenze nel caso si dovesse avverare non sono ancora delineabili nel dettaglio, benché siano destinate con certezza ad accentuare il declino della leadership del vecchio continente.
Punto della questione sono, parimenti, le differenti prospettive che il Mediterraneo assume sulla spinta di quella che viene diffusamente chiamata Primavera araba e la capacità di una visione inclusiva espressa dagli europei. Visione che, finora, è stata illustrata soltanto dagli americani nel corso del loro più recente tour di visita da questa lato dell'Atlantico.
Linkontro Nielsen ha indicato a una precisa rappresentanza d'impresa dell'opinione pubblica che quello spazio comune fra sponda nord e sponda sud del Mediterraneo già c'è. Passo che Mark Up intende riprendere in queste pagine, allargando se possibile gli spunti di riflessione. In compagnia di alcuni importanti maestri di pensiero, che ringraziamo.
Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di relazioni internazionali all'Università Cattolica di Milano, coglie l'importanza di quanto sta avvenendo da alcuni mesi in molteplici paesi del mondo arabo in un'ottica fondamentalmente di rottura. Dai fatti tunisini in poi (dicembre 2010) viene a cadere l'impalcatura di pensiero che ha guidato per decenni studiosi e analisti internazionali, in maniera accentuata dalla fine della Guerra Fredda: “ossia che esistano dinamiche divergenti fra sistema politico occidentale e resto del mondo e che sia possibile un'esclusiva convergenza di tipo economico. Simbolo più evidente di questo fenomeno è la Cina, totalmente integrata nel sistema economico, senza aver mai espresso alcun segnale di convergenza politica con il mondo occidentale”.

La rottura
L'inversione di tendenza messa in moto dalla Primavera araba è significativa perché si incammina verso la democrazia (è, cioè, a tutti gli effetti una convergenza politica), non sta avvenendo contro l'Occidente ed è sorta, al contrario, senza l'Occidente. Parsi invita a non soffermare la propria attenzione, oggi e domani, sulla rapidità dei cambiamenti e su una precisa aspettativa di successi locali: quello che è in corso d'opera sull'altra sponda del Mediterraneo è un mutamento di grandissima profondità, destinato a durare a prescindere da quelli che possono essere gli sbocchi momentanei delle singole situazioni territoriali. “La presenza di un imperatore a Parigi nel 1860 non costituì certamente il fallimento delle dinamiche messe in moto dalle rivoluzioni inglese, americana e francese, che hanno portato invece la loro influenza fino al terzo millennio”.
Le milioni di persone che sono scese in strada nelle principali città arabe sul Mediterraneo e sul mar Rosso esprimono una domanda di valori che non sono i nostri, ma che sono fondamentalmente aspirazioni compatibili con le nostre sul versante della domanda politica. Per la prima volta si registra una convergenza spontanea verso il core del nostro sistema. Che ha trovato una sua molla importante in ambito economico: dove è stato raggiunto, infine, un livello di intollerabilità a quello che è stato considerato un sistema di corruzione generalizzato non più sopportabile.

La positività
“Quanto accade è estremamente positivo”. Parsi lo ripete più volte. Perché avrà ripercussioni a lungo termine, crea radici di stabilizzazione, porta a un mondo più solido. Le istituzioni potranno attecchire su una cittadinanza non più suddita. Ma la cosa più importante è che le rivolte hanno già evidenziato che esiste fin d'ora uno spazio politico comune al centro del Mediterraneo. È dal 1900 che la Storia scivola accanto a quest'area sonnolenta, fino a ieri la meno incline al cambiamento, abbracciata a un'eterna provvisorietà, senza che nulla l'abbia turbata: non la caduta ottomana, le guerre mondiali, il colonialismo, il nazismo, il comunismo, la Guerra Fredda, lo stesso Israele. Tutto è avvenuto in una continuità di strutture, regimi e confini. Da qui la consapevolezza di quanto sia cruciale l'attuale svolta.

L'occasione storica
Il fatto che siano state spazzate via le devastanti differenze che esistevano sul versante del comune sentire politico concede all'Europa oggi l'opportunità di istituzionalizzare questo spazio, di creare quelle strutture che siano in grado di affrontare i problemi e di risolverli insieme. Esiste finalmente l'opzione di gestire in comune problemi, interessi divergenti e distribuzione asimmetrica dei costi delle soluzioni, condividendoli in assenza di imposizioni. Si tratta di intraprendere una strada alla quale i governi europei paiono non essere abituati: “gli avvenimenti degli ultimi 18 mesi hanno evidenziato una certa perdita di grip nel comprendere l'evoluzione. Sicuramente non si è evidenziata una capacità previsionale né di indirizzamento delle nuove forze in campo”. Ora può essere recuperato un ruolo di guida nei confronti dei vecchi regimi per assecondare il cambiamento. Ma una cosa le forze politiche dell'Ue non devono perdere di vista: “quanto sarebbe stato difficile impostare un'opera di educazione politica capace di influenzare profondi strati della popolazione. E del valore che tale domanda spontanea si ritrova, dunque, ad avere”.

Che cosa succederà all'europa per colpa di quelle rivoluzioni?
Questa è stata la reazione standard di un'opinione pubblica continentale che - Parsi ne è sicuro - non è stata informata a sufficienza della valenza positiva degli accadimenti. E molti passaggi governativi sono apparsi bloccati dalle paure diffuse nell'elettorato. Se l'intervento armato in Libia ha una giustificazione politica, questa risiede proprio nell'aver costituito il primo esplicito passo di ammissione dell'esistenza di un'area comune. Il non-interventismo equivale a una plastica rappresentazione di un noi (per cui valgono le regole di democrazia selettiva, per cui si giunge a condividere il rischio fino in Bosnia e nel Kossovo) e di un loro. L'intervento chiarisce invece l'altra idea: che non ci si possa chiamare fuori quando si sta all'interno di uno stesso spazio, in cui tutti hanno la stessa rilevanza.

Nella diseguaglianza il principio dei movimenti
Jean-Paul Fitoussi, professore di economia alla Luiss Roma e all'istituto di studi politici di Parigi, concorda indirettamente con quanto affermato alla Nielsen da Parsi. Lo fa prendendo la parola a distanza di pochi giorni a Torino, ospite di Coop Italia. Il palco del secolare anniversario del movimento cooperativo italiano costituisce, infatti, l'occasione per ribadire non solo la forza del nuovo processo democratico in corso nel nord Africa, ma di ampliarne la valenza d'impatto sulla “seduta” Europa.

Wellness d'Arabia
Se il nostro continente vuole mantenere un adeguato livello di benessere, che sia in linea con i nuovi obblighi della sostenibilità, mantenendo standard di qualità della vita concepibili con quelli espressi fino a oggi, secondo il professore francese diventa necessario ridare nuova vitalità alla democrazia. Senza di essa non può esserci wellness, ma essa non può essere quel valore politico stanco e affaticato che serpeggia nei vari paesi dell'Unione europea. Ecco perché la scossa che arriva dalla Primavera araba, lontano dall'essere vissuta come paura, finirà, forse, per avere stimoli benefici anche al nord del Mediterraneo.
E se una lezione si può trarre dai moti di piazza arabi, questa riguarda ancora una volta la valenza del problema legato alla riuscita (o meno) di far emergere tramite indicatori nuovi i reali impatti della diseguaglianza e i suoi effetti conseguenti. Pare al professore che sia sempre più evidente di come il mondo politico - sia esso arabo o europeo - finisca per restare sorpreso dagli eventi a causa di un'incompleta e non corretta lettura del quadro economico sociale.

La sorpresa
In contesti normali quali possiamo considerare le votazioni democratiche in Europa, questo comporta scoppole elettorali rilevanti, ma nel lungo periodo anche danni collaterali pericolosi: perché l'opinione pubblica si convince che fra i numeri governativi e la realtà quotidiana non vi siano più connessioni. Il che è vero se gli indici non sono sufficientemente rappresentativi. Ma la conseguenza è nella sfiducia che si crea, che comporta un progressivo cedimento della vitalità democratica: tale è la malattia europea. Nel sud del Mediterraneo la diseguaglianza ignorata e trascurata ha portato a una svolta radicale nella cultura politica. Sarebbe bene per un benessere diffuso e sostenibile non trascurare quanto ci stanno trasmettendo gli accadimenti di questo 2011.

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Allegati

07-2011-MKUP-Mediterraneo

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