Modelli di business propositivi

l'intervista – Nuove misure di governo, crisi del modello dei consumi, consumatore 2.0. Come una multinazionale reagisce al cambiamento? Ne abbiamo parlato con Sami Kahale, P&G (da MARKUP 209)

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Uno stravolgimento è in atto su due livelli, uno più marcato, per noi che lo viviamo ogni giorno sull'Italia e un altro che ha coinvolto tutto il mondo, cambiano le regole dell'economia, cambiano i consumi e i consumatori, cambia l'attrazione in termini di investimenti dei vari paesi: l'occidente non cresce, altri paesi sì. Sono cambiate le regole del gioco, alcune aziende lo hanno intuito da tempo, altre lo subiscono oggi. Abbiamo incontrato Sami Kahale, presidente e ad di P&G Italia, per cercare con lui alcune risposte ai quesiti che questi "strani" tempi che viviamo fanno sorgere, per capire come a livello mondiale P&G si sia già attrezzata per affrontare il cambiamento e come l'Italia oggi possa esser di nuovo attrattiva per quei capitali esteri di cui ha tanto bisogno.

     
  Chi è Sami Kahale  
  51 anni. Italiano, nasce in Egitto (Il Cairo). Ha sviluppato una carriera internazionale in Procter&Gamble dove è entrato nel 1984, presso il reparto marketing nella sede di Roma. Sposato, con due figli, dal luglio 2007 è il presidente e amministratore delegato di P&G Italia. Nel 2003 era vicepresidente della divisione salute e cura bellezza per l'Europa centrale, orientale, Medio Oriente e Africa. Nel 2006 vicepresidente della divisione cura capelli, coloranti, styling e cura della salute per l'Europa centrale, orientale, Medio Oriente e Africa. Prima del rientro, 5 anni fa, nella sede romana, ha lavorato in Svizzera a Ginevra, nel Regno Unito (Oral care Europe) e in Belgio (Hard surface cleaner-Europe strategic planner).  
     

 

■ Il punto di vista di una multinazionale come P&G sul cambiamento in atto in Italia?
L'Italia, così come il resto dei paesi sviluppati, è ancora un caposaldo per le multinazionali. Sicuramente nel nostro paese stiamo vivendo un periodo economico difficile ma ogni crisi offre l'opportunità per migliorare. L'Italia in questo momento ha perso attrattività agli occhi delle multinazionali e degli investitori esteri. Il baricentro si sta spostando molto sull'Asia, che ha oggi 4 mld di persone su 7, con la previsione che ne avrà 5 su 9, e in seconda battuta sull'Africa dove ci sono un miliardo di persone e diventeranno due. In questo contesto l'Italia deve migliorare la sua attrattività verso gli investimenti esteri. Consci di questo, abbiamo contribuito a costruire un comitato di investitori esteri in Confindustria, che rappresenta 80 multinazionali, con l'obiettivo di fare proposte concrete di quello che si può fare per attrarre maggiori investimenti esteri in Italia. Abbiamo presentato la nostra analisi e le nostre proposte recentemente in una sessione in cui erano presenti anche i ministri Passera, Severino e Profumo oltre ad Emma Marcegaglia. In sintesi: attrarre investimenti esteri è un volano strategico per l'economia italiana; uno studio Mc Kinsey dimostra che ogni 10 mld di euro investiti possono generare lo 0,23% di crescita del Pil. Noi, in Italia attiriamo meno investimenti esteri degli altri paesi occidentali; sia come stock del capitale, sia come flussi annuali, negli ultimi sei anni sono arrivati 22 mld di euro, la Francia ne attrae più o meno 60 mld di euro, in percentuale, rispetto al Pil si tratta dell'1%, la media europea è sopra al 3%. Se colmassimo il gap con la Francia avremmo un più 1% del Pil.

■ Perché l'Italia non attira investimenti?
È più difficile fare business in Italia che in altri paesi, c'è una classifica della World Bank, che ci classifica all'87esimo posto, la Gran Bretagna, è al settimo, la Francia al 29esimo, la Spagna 44esimo, noi siamo dietro al Botswana, alla Romania, al Kazakistan. La complessità e l'incertezza sulle regole, la complessità della pubblica amministrazione, l'elevato costo di fare business in Italia, i consumi che non crescono e un mercato del lavoro statico. L'incertezza (le regole cambiano), e inefficienza (i tempi della giustizia sono lunghi).
Abbiamo affrontato il problema, con i colleghi delle altre aziende dividendo il lavoro in quattro gruppi coordinati dal presidente del comitato Giuseppe Recchi e personalmente in qualità di chairman ho diretto il lavoro su Programmi e Strutture di attrazione, gli altri sono: Fisco e lavoro, Università e formazione, Ricerca e innovazione. Abbiamo formulato 17 proposte concrete e fattibili con un buon riscontro da parte del Governo: il ministro Passera ha detto che vuole creare un tavolo, una task force con il comitato del Ministero degli Esteri, per vedere tutte queste proposte e nel giro di 60-90 giorni si saprà che cosa si può fare in termini concreti.

■ In attesa delle misure di governo, quali sono oggi le armi ancora in mano al mondo delle aziende italiane? Che cosa può fare l'industria di marca?
Ci sono dei settori manifatturieri eccellenti, l'Italia si classifica al sesto posto in termini di brevetti, tra gli scienziati a grande potenziale ci sono nei primi posti degli italiani, ci sono quindi delle aree da sfruttare. Per quello che riguarda P&G e l'industria di marca, noi dobbiamo cercare assolutamente di portare innovazione, nuovi brand che creino vero valore. Un Dash Ecodosi all'anno. È molto importante perché crea un circolo virtuoso. P&G investe 2 mld di dollari in innovazione, il 60% in più del concorrente più vicino, abbiamo in Italia un centro di ricerca a Pomezia, su candeggina e additivi, dove è nato Dash Smacchiatore poi esportato in tutto il mondo. Abbiamo anche un programma, che si chiama Connect and Develop, che sviluppa innovazione dall'esterno, un sito dove i progetti vengono postati da molteplici interlocutori, dalle università, da piccole imprese fino all'inventore nel garage; è un programma a due vie, dove noi, non solo valutiamo, ma lanciamo anche richieste. Oggi, il 50% dell'innovazione è generata fuori e non internamente.
Infine, dobbiamo anche cercare di investire sempre meglio, non possiamo permettere sprechi, le scelte di marketing, pubblicità, attività nei punti di vendita sono frutto di una politica molto attenta al ROI (ritorno sugli investimenti). Quello che abbiamo dobbiamo farlo fruttare.

■ In tema di rapporti IDM e distribuzione, quali operazioni potrebbero esser fatte insieme per rilanciare i consumi?
Per rilanciare i consumi il governo deve agire, idm e distribuzione non hanno la bacchetta magica, prima il governo deve fare, anzi continuare a fare, con le liberalizzazioni, sta aprendo nuovi fronti, ma è necessario anche l'alleggerimento della pressione fiscale. Tornando a noi e, quindi, al tavolo Indicod-ECR, dobbiamo eliminare tutte le inefficienze che ci sono: l'Italia è la prima in Europa per out-of-stock. Come mai? Perché siamo meno efficienti. Abbiamo un trade più frammentato, dobbiamo, quindi, scambiarci di più i dati. Inoltre, in Italia, gran parte della merce viaggia su gomma, il che comporta i costi dei carburanti. Abbiamo aperto un tavolo Intermodale in Indicod-ECR che ha commissionato uno studio in proposito alla Libera Università Cattaneo di Pallanza.

■ Parlando di liberalizzazioni, che ruolo avranno in questo rilancio? Quanto siete disposti ad affiancare il retail?
Dobbiamo muoverci come associazione per avere un peso importante, certo, i distributori sono più proattivi dell'industria, ma siamo pronti a sederci al tavolo di Indicod-Ecr per spingere le liberalizzazioni.
In generale le liberalizzazioni fanno bene, soprattutto quelle che riducono il costo del paese, benzine, energie, utility, anche il costo della pubblicità -il costo di grp è più basso di altri paesi, ma servono più grp per raggiungere lo stesso livello di awareness quindi il costo è più alto. Un investitore estero guarda il ritorno sugli investimenti: se il costo per lanciare un prodotto è alto, il ROI non è buono rispetto a quello che potrebbe esser generato da altri paesi.

■ L'ipermercato è in crisi: suggerimenti per questa formula?
Rinnovarsi completamente, trovare idee nuove, offrire più servizi, prima di tutto i carburanti, puntando a prezzi più bassi. Poi l'intrattenimento, trovare altre ragioni per portare le persone nell'ipermercato, non basta l'abbondanza delle merci.

■ Come si riflette questa crisi sulle categorie che vi riguardano?
Le nostre categorie soffrono in trend con l'ipermercato, senz'altro ci sono cose che anche noi possiamo fare, in termini di servizi. Un esempio potrebbe essere Oral B: gli spazzolini elettrici hanno una bassa penetrazione in Italia, ma stanno crescendo, perché funzionano meglio, però, ci vuole educazione, bisogna far capire meglio i vantaggi, una buona idea sarebbe offrire un servizio di education nel pdv. In termini di entertainment, stiamo creando eventi multibrand a tema. Questi eventi, che attuiamo in tutti i canali, possono avere uno spazio maggiore dentro l'ipermercato. Altro esempio è quello legato alla partnership con il Comitato Olimpico Internazionale, oppure alla iniziativa commerciale multibrand a favore di Unicef. In generale, stiamo implementando strategie di scala con tutti i nostri prodotti per spingere più efficacemente le vendite. Da sempre, il nostro scopo è stato di aumentare il mercato, approcciamo la categoria per ampliarla, e in seconda battuta aumentare le nostre quote.

■ Lei ha citato le Olimpiadi, P&G ha lanciato una vera rivoluzione in termini di brand …
Infatti, una decisione epocale. P&G è il marchio che firmerà tutti i nostri prodotti. Fino ad oggi, nei 175 anni di storia dell'azienda, era stato l'opposto, i marchi vivevano singolarmente, andavano da soli al consumatore, oggi il consumatore è cambiato, è più attento ai valori, vuole sapere di più chi c'è dietro ad un prodotto, ad un marchio. In P&G, siamo molto severi con noi stessi, sulla qualità dei prodotti, quindi, perché non dichiararlo? Per fare questo si è reso necessario trovare un programma globale, che abbiamo testato con le Olimpiadi invernali di Vancouver. Le aziende che normalmente sponsorizzano le Olimpiadi, sponsorizzano gli atleti, noi volevamo un approccio diverso, e abbiamo pensato che dietro ogni atleta c'è una mamma e c'è un rapporto tra atleta e mamma e così è nata l'idea di sostenere tutte le mamme, degli atleti e non solo. Il test di Vancouver è andato molto bene e abbiamo raggiunto un accordo per sponsorizzare le Olimpiadi fino al 2020, sia estive sia invernali, in tutti i paesi, per tutti i prodotti. In Italia, stiamo partendo adesso con le Olimpiadi di Londra, abbiamo iniziato una collaborazione con Coni. Inoltre, siamo in onda con la campagna worldwide firmata da Wieden+Kennedy, e i nostri prodotti nei punti di vendita sono già con firma P&G e simbolo delle Olimpiadi. In occasione del Festival di Sanremo, per la prima volta nella nostra storia abbiamo parlato alle persone di P&G come l'azienda che è dietro alle marche che acquistano ogni giorno.

■ Perché la mamma?
La mamma è il senso della famiglia, è quotidianità, è affetto. Spesso è anche la persona che acquista i nostri prodotti. Sicuramente è a lei che tutti dobbiamo dire "grazie di cuore" e questo "movimento di ringraziamento" l'abbiamo portato anche dentro all'azienda dando la possibilità a tutti i dipendenti di dire "grazie" alla propria mamma dedicandole un pensiero ed una canzone in occasione del Festival di Sanremo. Un'attività che è nata in Italia e che ha avuto un plauso dall'azienda a livello mondiale. L'ambizione futura è quella di creare un movimento per ringraziare le mamme d'Italia. Per questo progetto abbiamo creato una pagina su Facebook. Le mamme P&G? Proprio recentemente, abbiamo chiesto alle colleghe di condividere l'esperienza di essere mamma e nel contempo di lavorare per P&G. Anche in questo caso abbiamo visto una grande partecipazione e stiamo pensando di farne un libro e di regalarlo per la festa della mamma.

■ Come si rapporta P&G rispetto alle madri lavoratrici?
Flexible work arrangement: telelavoro e part-time, per coloro che ne fanno richiesta. In più le persone possono entrare quando vogliono e uscire quando vogliono, non ci sono badge da timbrare. C'è tanta flessibilità, si misurano gli obiettivi raggiunti.

■ Qual è il vostro approccio rispetto alla conscious economy?
Con 175 anni di anzianità siamo di fatto un'azienda che ha la responsabilità per il futuro che verrà. Ci è chiara l'importanza delle generazioni future, della comunità in cui operiamo, delle risorse che usiamo. Noi ci muoviamo su due campi: lo sviluppo sostenibile e la responsabilità sociale. Sull'ambiente, abbiamo un programma con obiettivi di medio termine (2007-2012) e di lungo periodo (2020), con dei target precisi da raggiungere: ad esempio arrivare ad un fatturato cumulativo di 50 miliardi di dollari con prodotti a minor impatto ambientale. Il dato 2011 è 40 mld, quindi, siamo in linea. Il secondo, riguarda i processi produttivi, con l'obiettivo di ridurre almeno del 50% il consumo di energia, acqua e CO2. Su tutti questi parametri siamo avanti. Il terzo, sono i bambini. Ad esempio come P&G Italia siamo impegnati in un programma globale, che l'azienda ha iniziato nel 2006, che ha l'obiettivo di eliminare il tetano neonatale nel mondo entro il 2015. Abbiamo fatto un accordo con Unicef, per cui, in alcuni periodi dell'anno, quando una persona acquista un prodotto P&G noi diamo una donazione all'Unicef per un vaccino. Quando abbiamo iniziato i paesi in cui si moriva di tetano neonatale erano 59, adesso sono 39. Solo l'anno scorso P&G Italia ha donato oltre 30 milioni di vaccini.

■ Quali differenze con il consumatore di qualche anno fa?
È più attento al valore dei prodotti, guarda i benefici o la percezione che ha del prodotto, il costo, i valori e anche chi c'è dietro. C'è più tecnologia disponibile, il consumatore è più digitale. Sono 28 milioni le persone su internet in Italia, il 51%, e stanno aumentando su tutte le fasce. Ogni giorno, un quarto di questi è connesso online, mediamente 1 ora e 23 minuti, più possibilità di esser connessi con altri strumenti iPhone, smart phone. Sono in aumento i double user, cioè coloro che sono online mentre guardano la televisione. Il consumatore è più longevo quindi sarà più attento ai prodotti legati alla salute e alla bellezza, per essere più sano e più bello, più a lungo. Il modo di fare marketing e di dialogare con il consumatore è cambiato, è a due vie. Tutto è in real time, è un dialogo continuo, si è più esposti, ma bisogna sapersi muovere in questo mondo.

Allegati

209_Intervista

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