Massimo Moretti, presidente di Cncc (Consiglio nazionale dei centri commerciali), avverte la gravità del rischio occupazione (almeno 40.000 licenziamenti) e il forte calo dei fatturati se dovessero passare le misure "domeniche chiuse". Saranno comunque sicuramente aperte le due domeniche (17 e 24 febbraio) dedicate all'iniziativa per Croce Rossa Italiana

È la prima uscita pubblica del Cncc (Consiglio nazionale dei centri commerciali) sul tema (scottante più della famosa gatta "on the Hot Tin Roof") delle chiusure domenicali come si prospettano nella bozza d'accordo in Commissione parlamentare.

Gruppo Croce Rossa Italiana e Flavio Ronzi, terzo da destra

Il pretesto è offerto dall'iniziativa di solidarietà per la Croce Rossa Italiana che si terrà nelle domeniche 17 e 24 febbraio in 330 centri commerciali italiani, come ha spiegato Flavio Ronzi, segretario generale della Croce Rossa italiana: l'obiettivo di questa "charity" è raccogliere, tramite donazioni, almeno 300.000 euro, da destinare, fra l'altro, all'acquisto di nuove ambulanze. È la prima volta in Europa che si trovano insieme così tanti centri commerciali uniti per un'iniziativa di solidarietà collettiva e nazionale. Ottanta di questi centri commerciali sono in Lombardia, e fra essi ricordiamo, per citare i più grandi, Bicocca Village, Bonola, Malpensa Uno, CityLife, Elnòs, Galleria Borromea, Globo, Oriocenter, Scalo Milano.

Nel corso della presentazione di questa iniziativa benefica, Massimo Moretti, presidente Cncc, ha stigmatizzato la proposta di legge sulle domeniche chiuse definendola "medievale, iniqua, discriminatoria, e fortemente favorevole all'eCommerce". Moretti non esclude l'ipotesi (ma temperata da molti pacati condizionali) di un'azione legale contro il provvedimento qualora passasse nelle modalità attuali.

Le (dure) conseguenze della bozza

Le conseguenze della bozza di legge in esame sono ben note e le riascoltiamo con Moretti: "Siamo molto preoccupati in merito al disegno di legge del governo sulle chiusure nei giorni festivi nei centri commerciali, che comporterebbe la perdita di oltre 40.000 posti di lavoro, oltre che un notevole impatto negativo sui consumi e l’incoraggiamento alle vendite on-line, che ovviamente portano meno occupazione rispetto alle vendite fisiche. Ma non è solo una contrazione del Pil che temiamo (i consumi domenicali rappresentano il 18% dell’intero fatturato dei centri commerciali, che andrebbe perso, e per giunta in un momento di recessione del Paese): con le eventuali chiusure domenicali corriamo anche il rischio di ridurre la libertà di scelta di oltre 6 milioni di italiani che ogni domenica scelgono di trascorrere il loro tempo in questi luoghi di aggregazione, con tutta la famiglia. I centri commerciali sono le nuove piazze italiane e social hub, in particolar modo nelle aree più periferiche: posti sicuri, puliti, condizionati, dove poter consumare un pasto a prezzi ragionevoli, dove l’offerta di servizi e intrattenimento è sempre più varia. Pertanto siamo fiduciosi che si possa aprire un dialogo e un dibattito basato su dati concreti, reali e dimostrabili, per trovare una soluzione al problema".

Investitori internazionali: via dall'Italia?

Un altro timore molto forte, espresso da Moretti, è il rischio di perdere ulteriore competitività e interesse da parte degli investitori internazionali che troveranno una ragione in più per evitare gli investimenti in Italia. Questo è in effetti uno dei timori più paventati dalla community dei centri commerciali italiani, e in particolare dalle proprietà che fanno capo al 70% a società non italiane: "ricordiamo che i centri commerciali rappresentano il 25-30% del transato di tutto l'immobiliare commerciale in Italia" aggiunge Moretti. Certamente non pochi progetti di grandi dimensioni rischiano il congelamento: fra questi, l'ampliamento del Centro di Arese con il suo progetto di piste da sci, e Westfield Milano.

Marco De Vincenzi, direttore amministrativo e finanziario di Klépierre e responsabile retail di Assoimmobiliare, aggiunge che il problema più immediato è senza dubbio la perdita di fatturato: "almeno il 10% nell'ipotesi delle sole 26 aperture domenicali + le 4 opzionali, ma nelle realtà locali le cose possono andare anche peggio perché le aperture concesse potrebbero essere solo 10 anziché 26".

Vediamo di fare un po' di ordine in una materia ancora fluida. Oltre alle 12 chiusure obbligatorie corrispondenti alle festività canoniche nazionali, ci sono un numero di chiusure domenicali che va da un massimo di 44 (52 domeniche meno le 8 aperture minime concesse) a un minino di 26. In altre parole, e rovesciando per comodità i termini del problema "le aperture domenicali concesse -precisa De Vincenzi- possono andare da un minimo di 8 a un massimo di 26".

Ma il problema non finisce qui. "Pochi hanno spiegato i costi di comunicazione per le imprese distributive e immobiliari (noi siamo entrambe le cose) -ha aggiunto Renato Isetti, direttore patrimonio di Gallerie Bennet- conseguenti alla necessità di dire ai direttori e ai consumatori di quel dato centro commerciale che dovrà tenere aperto tot domeniche: sì, perché le deroghe previste dalle regioni comporteranno un ritorno al frazionamento della comunicazione con costi ulteriori che aggraveranno il conto economico". "Abbiamo ipotizzato diverse centinaia di esuberi di dipendenti occupati nei punti di vendita delle nostre gallerie -aggiunge Isetti- e altrettante centinaia, se non di più, dovrebbero essere gli esuberi a livello degli ipermercati Bennet".

 

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