Moretti di Cncc: “Trattateci come un’industria”

Intervista – Massimo Moretti, neopresidente di Cncc, il Consiglio nazionale dei centri commerciali, annuncia un cambio di strategia


Per l'articolo completo scaricare il Pdf

Sette anni sono un arco di tempo ragionevole se separano l'annuncio dell'intenzione di mandare un astronauta sulla Luna e la realizzazione dell'impresa. Decisamente troppi per realizzare uno svincolo stradale o un ampliamento di 1000 metri di uno shopping center. Le lungaggini burocratiche sono sotto il tiro dell'imprenditoria italiana da sempre, l'insolita metafora è dovuta a Massimo Moretti, direttore del portafoglio retail di Beni Stabili neopresidente di Cncc, il Consiglio nazionale dei centri commerciali, eletto con un compito preciso: dare una svolta all'attività dell'associazione, dopo aver raccolto il testimone da Pietro Malaspina.

Un'eredità pesante, la sua..

Io non ho il carisma di Pietro… dovrò pormi di fronte ai problemi con un approccio diverso, sicuramente puntando su più collegialità. La mia intenzione è dare vita a un'associazione in grado di parlare alle tre anime del nostro mondo: i fornitori di servizi, i retailers e le properties, con queste ultime in particolare il legame va rinvigorito. Modificheremo lo statuto, aumenteremo i servizi offerti e cureremo maggiormente anche gli aspetti economici. Ma soprattutto dovremo rappresentare con più incisività il nostro mondo, un vero e proprio sistema industriale composto di 900 centri e oltre 15 milioni di metri quadrati che ricevono 2 miliardi di visitatori ogni anno. Non vogliamo fare lobby, ma siamo troppo grandi per nasconderci.

Significa ad esempio che parlerete con Federdistribuzione e Confcommercio?

Sì, e anche con altri, su argomenti specifici per valutare se ci sono convergenze di interessi, tenendo comunque presenti i rispettivi ruoli.

Al Nord molte aree appaiono sature di presenza commerciale, al Sud non ci sono redditi tali da giustificare nuove iniziative. L'industria dei centri è destinata a ristrutturare solo l'esistente?

Se ci confrontiamo con altre realtà europee la densità commerciale in Italia è ancora relativamente bassa e con la ripresa dei consumi aumenteranno le opportunità anche al Sud. Il vero tema è che servono centri commerciali grandi, i cosiddetti regional, mentre le strutture più piccole potrebbero trasformarsi in centri di vicinato.

Lei parla di centri regionali. Ma in realtà gli iper grandi continuano a perdere quote di mercato.

La caduta stando agli ultimi dati si è fermata. Ma non enfatizzerei troppo il ruolo delle ancore alimentari: in realtà oggi il successo di un centro è dato almeno al 50% dalla galleria.

L'aria politica che tira, ad esempio sulle aperture festive, non è però certo favorevole.

La nostra industria crea tra i 300 e i 350 mila posti di lavoro diretti, più l'indotto; sono numeri che da soli in epoca di emergenza occupazione dovrebbero tenere lontani gli approcci ideologici. In particolare sulle aperture sottolineo che ogni domenica circa sette milioni di persone, in prevalenza nuclei familiari, decidono senza costrizione passare il tempo nei nostri centri. Nei negozi ci sono addetti che guadagnano la domenica di più oppure personale assunto ad hoc. Chiudere per legge significa mettere a rischio consumi, occupazione e libertà individuali.

Quanto rappresenta la domenica in termini di fatturato per un centro commerciale?

I dati variano a seconda delle strutture, si va al +20% al -20% rispetto al sabato. Il problema è che i consumi persi la domenica non si recuperano per intero nel resto della settimana. Comunque sui dati dell'affluenza presto avremo una novità importante, perché intendiamo lanciare un “footfall index” tutto nostro.

Veniamo ai costi per i tenants. I canoni sono regolati dal mercato, ma sul fronte delle spese di gestione si può operare…

È una battaglia largamente condivisa anche se bisogna tenere conto dei vincoli strutturali. Se un centro è su più piani con decine di impianti di elevazione e un parcheggio interrato con le luci accese 20 ore al giorno, i costi rimangono per forza di cose più alti. Assicuro che tutte le properties hanno sensibilità sul tema e le contrazioni ci sono già state. La strada da fare è lunga perché serve un radicale efficientamento delle strutture anche con investimenti apparentemente senza ritorno per le proprietà: passare ad esempio all'illuminazione a led può costare centinaia di migliaia di euro e ne beneficiano solo i tenants.

Una critica che si fa spesso ai nostri centri commerciali è che sono tutti uguali. E' d'accordo?

In parte sì anche se lo stesso si potrebbe dire per le strutture di altri paesi. Da noi c'è l'aggravante che l'Italia è stato percepita negli ultimi cinque anni come un paese a rischio dai retailer stranieri, facendoci perdere cosi importanti newcomers (non si capisce poi perché ad esempio la Spagna ha vissuto solo parzialmente questo fenomeno). Con l'arrivo di nuove insegne, che dovrebbe verificarsi in tempi non lunghi, le gallerie cambieranno aspetto. Qualcosa però intanto si è mosso: sempre più spesso nelle food court sono presenti nuove formule e si sta ampliando anche l'offerta di entertainment.

E la distintività dell'offerta rispetto ai centri città?

Anche qui, è vero che molte insegne operano in entrambe le situazioni e, mi piace ricordarlo, molte catene oggi presenti nelle strade cittadine sono nate negli shopping center. Rimane però il fatto che i centri commerciali hanno un vantaggio competitivo enorme perché sono gestiti seguendo un disegno unitario.

Nel suo programma ci sono anche gli incontri con i retailer stranieri: che cosa intende?

Voglio dire che il Cncc offre l'opportunità a chi voglia affrontare il mercato italiano di incontrare tutte le realtà imprenditoriali che possono aiutarlo.

Se mancano i retailer gli stranieri invece sono ben attenti quando si tratta di comprare i nostri centri. È solo questione di yield?

Il fatto che gli investitori stranieri si interessino ai centri commerciali più che ad altri segmenti del real estate italiano è la riprova dell'eccellenza dell'offerta. Quanto ai rendimenti sono ancora più alti della media europea ma appaiono destinati ad abbassarsi: nei prossimi mesi vedremo con tutta probabilità importanti transazioni a prezzi più alti che nel recente passato.

Un'ultima domanda, in questo caso al manager di una grande realtà come Beni Stabili. Perché nel portafoglio dei fondi italiani il retail pesa così poco, soprattutto se si raffrontano i numeri con quelli di altri paesi europei?

Si potrebbero indicare molte cause. Gliene segnalo una. Un palazzo di uffici una volta consegnato non dà più problemi in genere per 13 anni, quanto la durata di un contratto standard di locazione. Nel commerciale in 13 anni di contatti se ne fanno almeno due e bisogna seguire la performance del tenant nel quotidiano. E' un lavoro più faticoso. Ma che dà soddisfazione.

Per l'articolo completo scaricare il Pdf

 

Allegati

232_Intervista

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome