Necessarie riforme per la filiera latte

La struttura del settore in Italia appare inadeguata a sostenere le nuove sfide ed essere competitiva in Europa (da Mark Up 248 - 2016)

L’Italia importa moltissimo latte ed esporta principalmente formaggi, in gran parte Dop. Come evidenzia una recente ricerca Agroter commissionata da ADM, il nostro Paese importa più di 2 milioni di tonnellate di latte e semilavorati, di cui oltre mezzo milione di Uht (Ultra High Temperature) già confezionato. E delle 13 milioni di tonnellate di latte disponibili complessivamente a livello nazionale, solo il 20% sono destinate a latte alimentare, diviso equamente fra fresco e Uht. La struttura interna del settore appare insufficiente a sostenere la sfida internazionale. A cominciare dal confronto sul territorio europeo.

042_MARKUP04_2016_Frodi_boxLa tendenza all’incremento della produzione è riscontrabile attualmente un po’ ovunque: a livello globale è in atto una progressiva concentrazione degli allevamenti con aumento delle dimensioni medie delle mandrie e un miglioramento della produttività per singolo capo. Tutto ciò accade in parte anche in Italia, ma con discrepanze notevoli rispetto ad altri Paesi, specie sul piano della struttura dimensionale. La fisionomia dello stabilimento produttivo italiano è infatti mediamente contenuta: il 55% degli allevamenti è ubicato in aree di montagna o svantaggiate, per la maggior parte di piccola dimensione, mentre quasi il 30% della produzione totale si concentra solo su tre province (Brescia, Cremona e Mantova). Per quanto riguarda invece i volumi produttivi, essi si raggruppano su tre Regioni soltanto, Lombardia, Emilia e Veneto, quelle che presentano gli allevamenti di maggiori dimensioni, peraltro gli unici a crescere numericamente. È evidente quindi una profonda polarizzazione e frammentazione degli allevamenti, o troppo piccoli e sparsi su territori a volte deficitari di servizi, o molto grandi ma ubicati in poche fortunate zone produttive. In ogni caso soltanto il 9% degli allevamenti è di grande dimensione, vale a dire con oltre 115 capi e più di 1.000 tonnellate annue. Ed è solo su questa struttura dimensionale che si registra una progressione della produttività media all’aumentare delle dimensioni dell’allevamento. Sono queste aziende ad avere maggiori possibilità di sopravvivere alle attuali condizioni di mercato.

Il quadro della filiera è piuttosto complicato. Difficilmente il costo di produzione di un allevamento riesce a essere in linea con gli attuali prezzi del mercato internazionale. Occorre una produttività per capo tendente a 10 tonnellate l’anno, ben superiore a quella della media nazionale, e con allevamenti che superano i 100 capi complessivi e che sono tecnologicamente avanzati. La produttività media italiana è ancora al di sotto della soglia di sostenibilità aziendale. E sul fronte della domanda si assiste a una progressiva disaffezione verso tutte le fonti proteiche di origine animale. Sul fronte interno i consumi di latte fresco e Uht hanno fatto registrare una contrazione intorno al 4-5% nel 2015, mentre è risultata meno critica la situazione sui formaggi, che hanno però dovuto operare riduzioni dei listini per spingere le vendite.

L’articolo completo su Mark Up n. 248

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