Speciale Cibus 2016 – Nel mondo cresce la voglia di Made in Italy

Negli ultimi dieci anni le esportazioni dell’industria agroalimentare sono cresciute a velocità doppia rispetto al totale dell’export italiano. Ma il volo non dovrebbe fermarsi qui (da Mark Up 248 - 2016)

I prodotti italiani, dall’abbigliamento all’arredamento, dalla meccanica al food&wine, sono riconosciuti da sempre e ovunque come sinonimo di grande tradizione e qualità, in termini sia di gusto sia di sicurezza. Un successo che oggi risulta amplificato dal boom della classe media mondiale, per la quale lo stile di vita occidentale rappresenta un modello di culto irrinunciabile. Per quanto riguarda in particolare l’italian food, qualità, tipicità e varietà della nostra offerta sono state veicolate in tutto il mondo dal crescente numero di locali gourmet, non necessariamente italiani ma comunque utilizzatori dei nostri prodotti d’eccellenza, ma anche dalla sovraesposizione mediatica di cui gode la cucina in generale, grazie ai quali l’Italia sulle tavole estere non è più solo sinonimo di pasta e spaghetti. E a proposito della crescente attenzione del mondo occidentale al binomio gusto&salute, c’è poi da citare la buona reputazione guadagnata dalla dieta mediterranea. Sta di fatto che negli ultimi dieci anni, le esportazioni dell’industria agroalimentare sono cresciute a velocità doppia rispetto al totale dell’export italiano. Il valore dell’export alimentare è aumentato dell’83,8% nell’ultimo decennio (dati Federalimentare 2004-2014). Nel 2004 esportavano all’estero due industrie su dieci, oggi si stima che la metà delle 54 mila industrie attive nel settore food&beverage produca anche per i mercati esteri. Il che ha contribuito a innalzare il peso delle esportazioni sul fatturato dell’industria alimentare italiana dal 14 al 20,5% nell’arco del decennio. Numeri importanti, basti dire che attualmente circa 1,2 miliardi di persone nel mondo comprano ogni anno un prodotto agroalimentare italiano e di questi ben 750 milioni sono consumatori fidelizzati.

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Che cosa esportiamo e dove: nel 2014 l’export alimentare ha superato i 34 miliardi di euro, con un incremento del 2,7% sull’anno precedente. E anche il 2015 si prospetta contraddistinto dal segno positivo: l’ipotesi di superare i 36 miliardi è più che realistica. La classifica dei top ten (elaborazione Federalimentare su dati Istat relativi al periodo gennaio-novembre) risulta invariata rispetto al 2014. Al primo posto si riconferma il comparto enologico, con una quota prossima al 20% del totale, seguito da dolciario (12,6%), latte e formaggi (8,8%), pasta (8,2%), ortaggi trasformati -passata di pomodoro in testa (7,6%), oli e grassi (6,8%), salumi (5,2%), caffè (4,3%), frutta trasformata (3,7%) e acque minerali e gassate (3,0%). Tra i più performanti si evidenziano, con incrementi a valore a doppia cifra, acque minerali e gassose (+20,6%), birra (+18,3%), ittici (+11,3%), caffè (+11,1%). L’80% dell’export italiano è rappresentato da prodotti di marchi industriali di prestigio, ivi inclusi quelli a denominazione protetta (Dop, Igp ecc.). Riguardo ai Paesi di destinazione, il consuntivo gennaio-novembre 2015 vede consolidarsi il mercato Ue 27 che nel complesso attrae il 62% delle vendite a valore (+4,8%). Al primo posto assoluto nella classifica per Paese si riconferma la Germania che attrae 4,15 mld (+3,4), mentre gli Stati Uniti con 3,3 mld (+19,6%) si collocano al secondo posto sorpassando per la prima volta la Francia, seguita da Regno Unito, Svizzera e Spagna (+16,8). Le dinamiche più accentuate, tutte a doppia cifra, riguardano i cosiddetti mercati emergenti, di dimensioni ancora contenute ma in alcuni casi con un forte potenziale: Arabia Saudita +41,2, Cina ed Emirati Arabi +26,3 Thailandia + 17,6, Sud Africa +14,8 solo per citare i più performanti. Il segno negativo riguarda innanzitutto il mercato russo (-34,4% sul totale) e anche quelli di Ucraina e Lituania.

L’articolo completo su Mark Up n. 248

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