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Priorità e obiettivi di Federdistribuzione, l’agenda del neopresidente Claudio Gradara (da Mark Up n. 269)

Incontro Claudio Gradara nel suo ufficio in Federdistribuzione; di lui so quello che recita il comunicato stampa che l’associazione ha rilasciato al momento della sua nomina: “Ex amministratore delegato di Pam Panorama”.

Non stupisce che di lui si sappia poco, arriva da un mondo schivo che ha sempre mantenuto le distanze dalla stampa.

In più sostituisce Giovanni Cobolli Gigli, uomo vulcanico e dalla grande personalità; la curiosità quindi è ai massimi livelli. Mi viene incontro sorridente, parla in maniera pacata, di chi molto di ciò che racconta lo ha vissuto in prima persona, un uomo di esperienza. Diremmo ... determinato con garbo.

Quali sono le priorità della sua presidenza?

Già andare in continuità con l’operato del mio predecessore, che stimo molto, sarebbe un ottimo risultato. Negli ultimi anni, la Federazione è cresciuta, sia in termini associativi sia nella capacità di proposizione nei confronti dei vari stakeholder.

Molto lavoro è stato fatto e molto altro c’è ancora da fare: uno dei problemi riguarda la scarsa consapevolezza del ruolo del nostro settore all’interno del sistema generale del Paese.

Intanto la questione Iva si avvicina, pericolosamente ...

Il problema Iva è prioritario: il nostro settore esce dal periodo più orrendo che abbia vissuto nella sua breve storia. Ci siamo trovati a confrontarci con un calo dei consumi che è il più alto che si sia verificato da che esiste la grande distribuzione, in uno scenario di prezzi fermi o addirittura in deflazione che, per chi fa il nostro mestiere, costituisce di per sé un problema.

Certamente non assistiamo a una ripresa, siamo lontani dai livelli da cui arrivavamo, ma per lo meno vediamo la freccia che vira verso l’alto.

Inserire, in un contesto del genere, un aumento dell’Iva, rischierebbe di infliggere un colpo mortale a questi segnali positivi, che comunque di per sé non sono sufficienti. La ripresa cui assistiamo è debole: abbiamo la fortuna di vivere un ciclo economico a livello internazionale positivo, con tassi bassi, tutte condizioni che non è detto che si protrarranno nel tempo.

Se non riusciamo a consolidare in questa fase, o peggio spegniamo la fiammella che si sta accendendo -e certamente l’aumento dell’Iva va in questa direzione-, facciamo dei danni di lungo periodo al settore. Un settore che ha retto questo periodo di crisi mantenendo l’occupazione, a parte casi marginali. Abbiamo un tasso di dipendenti a tempo indeterminato del 91% -credo che non l’abbia neanche la Pubblica Amministrazione-, un’occupazione con caratteristiche qualitative e investimenti sul personale.

A pagare sono stati i conti economici delle nostre aziende: se vediamo il ciclo dal 2008 al 2015, quando la situazione ha cominciato a stabilizzarsi, rileviamo un tracollo di una già debole redditività, e questo non è successo in tutti i settori economici. Siamo stati i più colpiti, le aziende del largo consumo sono quelle che hanno pagato di più e, paradossalmente, la ripresa che c’è stata, almeno in questa prima fase, si è riversata su altre forme di consumo: in primis il risparmio perché, al di là dei quattrini che ha in tasca, la gente spende se ha una visione in prospettiva rassicurante, se tale non è tende a mantenere un atteggiamento prudente. L’altro fronte è quello dei beni durevoli.

Sappiamo tutti che i consumi non torneranno più a quei livelli ...

Concordo. Sicuramente sono state riviste le quantità, anche perché, sotto traccia, lavorano fenomeni di lungo periodo, come quello demografico che di per sé modifica il profilo della domanda; dall’altra parte, vediamo anche un cambiamento profondo delle abitudini e degli stili di acquisto, che si traducono in un consumo estremamente più articolato e segmentato che, in qualche modo, è stato schermato dalla grande crisi e che è cominciato a diventare più evidente negli ultimi tre anni. Anche il cliente un tempo veniva facilmente clusterizzato ... upmarket o presensitive ... Invece oggi può essere upmarket su certe categorie e presensitive su altre. Rileviamo, inoltre, una ricerca di elementi di servizio, di ampliamento degli assortimenti a favore di settori completamente nuovi. Quindi anche cercare di seguire la domanda, che qualitativamente è cambiata, è di per sé una sfida per le aziende, perché significa intervenire profondamente sulla proposta commerciale. Parliamo di food. Nel non food, il problema è all’ennesima potenza, un mondo che mi è meno familiare anche se un buon 30% dei nostri associati vivono in quel settore.

E poi c’è l’eCommerce ... in Federdistribuzione ci sono e-tailer?

No, perché non hanno mai chiesto di entrare, e ancora no, perché, se chiedessero di entrare, non so quale sarebbe la nostra risposta. Oggi abbiamo al nostro interno tutte aziende con una base fisica di negozi. Ampliare la base associativa è positivo, ma bisogna anche cercare di mantenere l’omogeneità. Oggi l’eCommerce è sicuramente una realtà, ma è ancora in una forte fase di evoluzione e non so quanto, alla fine, si rivelerà affine all’attività classica del commercio moderno. L’altro aspetto è che l’eCommerce, certo non per sua colpa, ma perché è un settore ancora nuovo, agisce all’interno di un quadro di regole che non ci sono.

Che cosa vuol dire?

Un tema per tutti da affrontare riguarda l’aspetto fiscale e si riferisce soprattutto ai soggetti multinazionali. L’altro riguarda i costi legati alla forza lavoro, imparagonabili con i nostri. Se poi aggiungiamo le complicazioni burocratiche strettamente legate alla rete fisica ... rilocalizzazione, ampliamento, ammodernamento, che invece non toccano chi gestisce una rete virtuale, vediamo che tra elementi di tipo strutturale, legate al settore, e quelli più generici che caratterizzano il fare impresa in Italia, ci troviamo spesso a competere con le mani legate dietro la schiena.

Poi ci sono il sottocosto, le promozioni, i saldi. Non vedo in negativo gli elementi di flessibilità e liberalizzazione che stanno dietro la filosofia dell’eCommerce, anzi.

Il punto non è portare Amazon nel vecchio sistema, che sarebbe impossibile e fuori dalla realtà, ma che le sue “libertà” siano estese anche a noi.

Tra le libertà sempre in discussione ci sono le aperture domenicali ...

In un giorno festivo nei nostri negozi entrano dai 12 ai 15 milioni di persone: al di là di tutto, c’è un pezzo d’Italia che usufruisce di un servizio. Chi dovrà regolare la materia, tiene questo elemento in considerazione?

Passiamo all’annosa questione del contratto di lavoro ...

È un tema che vorremmo cercare di risolvere velocemente. Parecchi anni fa, abbiamo fatto la scelta di renderci autonomi e abbiamo avviato una negoziazione per conto nostro, fuori dal vecchio perimetro di Confcommercio.

Il contratto firmato da Confcommercio è stato rinnovato qualche anno fa, a delle condizioni che ipotizzavano un futuro un po’ troppo radioso, che non si è verificato. Tant’è che, credo per la prima volta nella storia della contrattazione italiana, un contratto è stato rinegoziato in diminuzione. Questo ha condizionato tutto il resto delle trattative. Oggi abbiamo un tavolo aperto con il sindacato, nel senso che abbiamo sempre espresso la nostra disponibilità a rinnovare il contratto, ma per ora ancora nulla di fatto.

Quali sono i problemi?

Le organizzazioni sindacali sono legate a schemi e modelli organizzativi che non rispecchiano più la realtà. Penso che dobbiamo smettere di guardare più indietro che avanti, perché credo sia nell’interesse sia nostro sia del sindacato, cominciare ad aprire una discussione sui cambiamenti che avverranno nei prossimi anni. È indiscutibile che il lavoro subirà delle modifiche importantissime, come contesto, profilo professionale, esigenze, tutti elementi che meritano un ripensamento dell’impianto normativo che abbiamo oggi. Questo vuol dire che, oltre all’online, c’è l’impatto del digitale sull’organizzazione delle imprese, un processo che andrà avanti e merita di avere un riconoscimento e una regolamentazione anche a livello contrattuale. Altrimenti rischiamo di trovarci di fronte a fenomeni verso i quali non avremo risposte: per esempio, come si trasformerà il sistema dei pagamenti nel futuro? Lo subiamo? Il cambiamento ci sarà comunque; dobbiamo capire se riusciamo a gestirlo insieme o se gestire gli eventi uno alla volta, approccio che, storicamente, non porta molto lontano.

Alcuni temi da Lei elencati sono gli stessi per cui si batte Confcommercio ...

Bene o male ci occupiamo di commercio, quindi fatalmente ci sono argomenti sui quali dovrebbe esserci e, a volte c’è, una comunanza di vedute; ma su molti argomenti la vediamo in maniera un po’ diversa e questa è una delle ragioni per le quali, un po’ di anni fa, ci siamo separati.

Più in generale, il nostro settore ha una rappresentanza troppo frammentata e questo non aiuta dal punto di vista della riconoscibilità istituzionale. Credo che, al di là degli interessi specifici degli associati, ci siano temi che coinvolgono tutte le associazioni afferenti il commercio: come si può pensare di rimettere in moto i consumi, i redditi in Italia nel lungo periodo? E di conseguenza: come cercare di orientare alcune scelte politiche importanti che devono essere fatte, soprattutto per quanto riguarda l’allocazione dei redditi e gli investimenti in futuro? Questi dovrebbero essere temi su cui c’è comunanza di vedute. Altri argomenti, al momento, vedono posizioni diverse. Chissà se nel tempo ...

Le tre parole che saranno distintive della sua presidenza ...

Mi piacerebbe dire la distribuzione moderna protagonista dello sviluppo dell’Italia. Mi rendo conto che è un po’ velleitario, però credo sia un obiettivo.

Mi piacerebbe, insomma, poter affermare a consuntivo che abbiamo costruito qualcosa di importante.

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