Non chiamatelo discount, ma solo Eurospin

Un commerciante che non voleva fare il commerciante. La storia di Romano Mion (da Mark Up n. 279)

Ho incontrato Romano Mion molte volte negli anni, una persona gentile, un professionista illuminato: ascoltarlo è sempre un piacere; ogni volta imparo qualcosa. Negli anni abbiamo parlato di Eurospin, delle sue evoluzioni, ma mi è sempre rimasto il desiderio di saperne di più sul professionista ... quindi ho colto l’occasione della sua disponibilità ed eccoci qui, in un dopo convegno, alla scoperta della storia di Romano Mion. “Mio padre aveva due negozi, uno nel centro di Verona e uno in periferia, in corso Milano, che era una specie di franchising che aveva dato a terzi. Da piccolo frequentavo il negozio perché i genitori ci obbligavano già a 10-12 anni, così si facevano le prime esperienze in un negozio tradizionale, ci dicevano, per esempio, andando nelle case a prendere l’ordine per la spesa prima di andare a scuola per poi consegnarla dopo. Ho respirato subito il commercio.

Odiavo quel tipo di lavoro perché era estremamente faticoso. Le prime consegne a domicilio erano le cassette di acqua Recoaro in legno che pesavano tantissimo e i clienti dell’ultimo piano le ordinanavano regolarmente. Io poi sono più amministrativo, tecnico, organizzatore che commerciante, non ho l’approccio giusto alla vendita.

Però poi ha deciso di rimanere in questo mondo ...

Sono nato in una famiglia numerosa, sette fratelli e due zie, mamma e papà: eravamo in undici attorno alla tavola; frequentavo l’università nei primi anni 70, ma mio padre morì nel 1971. Avevo 21 anni, ero il secondogenito di questa famiglia numerosa e ho dovuto smettere gli studi perché mi sentivo la responsabilità di mantenere la famiglia; con la rinuncia all’università arrivava anche l’obbligo della leva e solo il primo dei 7 fratelli era esonerato, il secondo lo doveva fare, ma ero un po’ ambizioso, avevo voglia di fare qualcosa di diverso da tutti. Così ho fatto la scuola ufficiali a Foligno e sono diventato tenente di artiglieria da montagna, 15 mesi e poi sono tornato a casa: il problema di tenere in piedi la famiglia rimaneva. Così dei due negozi uno lo cedemmo. Con i miei fratelli, uno più grande e uno più piccolo, volevamo però fare qualcosa di moderno, diverso dal classico negozio. Era il 1973: i primi supermercati erano già nati in Lombardia, a Verona c’erano solo Standa e Pam. Abbiamo provato con il primo super: l’immobile costava 250 milioni di lire, se non ricordo male, ne avevamo pochi e abbiamo fatto un mutuo di 30 anni. La prima insegna era Supermercati Mion, con il cognome. Ho chiesto di fare il plurale perché avevo già l’idea di farne tanti: si nasceva così a quei tempi, orgogliosi, con l’idea di fare, di emergere, riscattarsi. Dopo pochi anni, abbiamo acquisito i Supermercati Imas a Verona, due negozi, anch’essi nati in quegli anni, quindi abbiamo fatto subito una mini-catena con un magazzino centralizzato, poi via via sviluppando lo stesso settore fino al 1979, quando abbiamo aperto un magazzino più importante e un cash & carry.

Come nasce Eurospin?

Nel 1973 ho fatto a Bolzano il sottotenente di artiglieria e lì mi hanno dato l’incarico di gestire la mensa ufficiali, oltre che di addestrare le reclute, due lavori che mi hanno segnato la vita. A Bolzano vidi i primi discount A&O e VéGé e uno anche Despar: c’era una pedana dove erano allineati file di prodotti, allora di marca, con il bandone segnaprezzo e le cassiere imparavano a memoria il prezzo: 200-300 articoli non di più, i codici non erano ancora arrivati. Ho visto questi negozi e poi in Austria quelli di Aldi e Lidl. Allora si diceva che era un tipo di negozio che non sarebbe andato bene per i gusti italiani un po’ più sofisticati, infatti anche gli esperimenti italiani via via sparirono; così, per un po’ non ci pensammo più. Poi, nel 1992, invece tornai all’estero, constatando che, mentre da noi i discount erano spariti, lì fiorivano; decidemmo di entrare in quel business ma in maniera diversa: niente prodotto di marca industriale per non confrontarsi con i big, quindi, solo prodotti esclusivi, di qualità, senza passare dal “primo prezzo”. Sostenevo allora e sostengo oggi che ci sono prodotti di qualità venduti a prezzo basso, ma un prodotto che vale poco e venduto a poco, non ha nessun senso.

Di conseguenza avevamo la necessità di avere una filiera efficiente che ci consentisse di avere prodotti di qualità a prezzo basso. Il terzo requisito importante era avere una diffusione sul territorio più importante e non limitata a Verona e dintorni, Milano o altro: dovevamo andare (almeno) in tutta Italia.

Avendo pochi soldi e forte di studi economici e di organizzazione aziendale, ho studiato il sistema di fare tanti numeri, tante cose, rimanendo con pochi soldi: una holding che avesse però la maggioranza perché la gestione doveva essere unitaria. Nacque così l’attuale Eurospin Italia, il 51% di proprietà e il resto di altre entità regionali. Non è stato facile: all’inizio eravamo nove soci, abbiamo fatto tanto franchising con l’idea di fare tanti volumi con pochi soldi, poi nel tempo ci siamo accorti che il franchising sporcava un po’ il marchio e l’idea imprenditoriale, per cui abbiamo smesso, e abbiamo fatto solo punti di vendita diretti. Oggi le società socie sono quattro con il 25% ciascuno: la mia, Migross, Dao di Trento, Vega di Treviso e Shop, Pozzi di Milano.

Il segreto del successo di Eurospin?

I tre elementi più importanti di una azienda sono leadership, strategia e cultura. La strategia è sempre stata chiara sin dall’inizio e risponde alla nostra mission e al modello di sviluppo: ‘fare sviluppo con i nostri soldi’ è una delle frasi che ci diciamo spesso; quindi gli utili li dividiamo poco e investiamo continuamente, anche negli immobili e, oggi, il 60-70% dei negozi possiede l’immobile, quasi tutti già ammortizzati, per cui abbiamo un potere economico importante e non paghiamo l’affitto. Tanti sono convinti che andare in locazione sia una strategia interessante: lo è per i proprietari degli immobili, ma non per chi fa commercio.

Che cosa c’è nel futuro di Eurospin?

Il futuro è nelle nuove generazioni. È triste arrivare a una certa età e pensare di dover lasciare, ma se un imprenditore è intelligente, crea i presupposti perché il passaggio ci sia, nell’interesse di tutti; nelle imprese ci deve esser continuità e, per dare continuità, bisogna che l’ingresso dei giovani sia facile, concreto e previsto. In Eurospin, abbiamo fatto un grosso lavoro: sono già presenti in Consiglio di Amministrazione, prima come uditori adesso anche come consiglieri, diversi giovani; ogni società socia ha oggi almeno altri due giovani all’interno, quindi da quattro siamo diventati dodici ed è una forza notevole.

Siamo stati fortunati perché i giovani che ciascuna delle società ha messo a disposizione sono in gamba, preparati, hanno studiato, hanno voglia di lavorare e sono umili.

E' riuscito a insegnare l’amore per questo lavoro ai suoi figli?

Non so se l’ho insegnato, certo che quando si è figli d’arte le passioni e il lavoro si hanno già nel dna.

Da genitore, ho cercato di lasciare liberi i miei figli. Uno è andato via di casa che aveva vent’anni è tornato che ne aveva 40 (ora ne ha 43): gli ho proposto di amministrare Eurospin Sicilia e ha accettato, sta ottenendo oggi risultati doppi rispetto a prima.

L’altro invece è da sempre con me.

Li contraddistingue la preparazione, l’umiltà e l’impegno sul lavoro, poi sono disponibili anche a viaggiare, altra cosa importante in Eurospin. Ai miei tempi, andare da Verona a Perugia, a Catania erano distanze enormi: oggi si va più distante, all’estero e andremo sempre di più. L’Italia ci sta diventando un po’ stretta.

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